I superpoteri di una famiglia affidataria: riparare il dolore e lasciare per sempre il segno dell’amore nei bambini accolti

“Non sono necessarie doti particolari ma quando diventi genitore affidatario .…. scopri in te stesso i superpoteri!”. L’affido una scelta d’amore.

Con questo entusiasmo Claudia, che insieme a suo marito Luca ha iniziato 5 anni fa il cammino verso l’affido familiare, racconta come è arrivata a conoscere e sperimentare questa forma di accoglienza di bambini speciali, forti e coraggiosi: quelli che vengono allontanati dai nuclei di origine e spesso conoscono anni di limbo prima di poter trovare una famiglia definitiva. Prima di tornare nella propria, quando possibile, o in una adottiva.

I bambini che sperimentano l’affido hanno bisogno di sentirsi curati, accolti  e quello che ti restituiscono dà il senso di quello che stai facendo – racconta Claudia – . Personalmente avevo conosciuto la realtà degli internat in Romania, avevo esperienza in Croce Rossa e nel volontariato. Fin da quando ci siamo sposati, c’era in me e mio marito un desiderio di mettersi a disposizione dei minori in difficoltà. Poi sono nati i figli e gli impegni familiari hanno fatto ritardare questo momento. Ed è stato proprio il commento di uno dei nostri quattro figli a una notizia del telegiornale a farci fare il passo decisivo. “Perché non teniamo noi quel bambino?” disse una sera nostro figlio ascoltando alla tv la notizia di un neonato di pochi mesi che aveva subito maltrattamenti e poi era stato abbandonato in ospedale dalla madre.”

E’ bastata la domanda e la proposta generosa di un figlio a far scattare nella coppia qualcosa di profondo.

In un primo momento ci informammo per capire se si poteva concretamente fare qualcosa per quel bambino ma proprio su suggerimento del primario dell’ospedale ci venne suggerito di rivolgerci ad associazioni esperte in affido familiare – racconta Luca -. E fu così che conoscemmo Ai.Bi.. E iniziò questa bellissima avventura per tutta la nostra famiglia”.

Così mamma e papà si misero in gioco: guidati dagli esperti di Ai.Bi., frequentarono incontri di formazione, si sottoposero a colloqui con esperti e a momenti di confronto con altre famiglie affidatarie. “Una volta terminato il ciclo formativo decidemmo di offrire disponibilità per la pronta accoglienza – racconta Luca – ben consapevoli da un lato che si sarebbe trattato di occuparsi si bambini con traumi e sofferenze, dall’altro però pensavamo di essere risorsa anche grazie al fatto di essere genitori di quattro figli che, insieme a noi, avrebbero facilitato l’inserimento e l’accoglienza”.

Insomma, due genitori con le spalle robuste. Claudia e Luca sono mamma e papà di una ragazza di 18 anni e di tre maschi di 16, 14 e 8: “Anche loro sono stati fin da subito preparati a ospitare bambini anche piccolissimi, trattarli da fratellini e poi essere capaci di salutarli. Del resto le dinamiche familiari, malgrado le sofferenze che questi bambini portano con sé, si ripetono, e i nostri figli le conoscono bene – dice Claudia – : se arriva un bambino piccolo o in difficoltà che ha bisogno di attenzioni, occorre lasciar fare. E’ bello vedere come i nostri figli ogni volta abbiano preso a cuore il benessere di questi ’fratellini’, il loro bisogno di sentirsi accolti e voluti.”

La prima esperienza di pronto affido ha riguardato due sorelline di 5 anni e 10 mesi : “Una storia terribile: arrivarono a casa con lo sguardo terrorizzato e lividi sul corpo. Le prime settimane restarono solo con noi – ricordano Luca e Claudia – poi cominciammo a programmare due incontri al mese con i genitori naturali, due persone che, fino ad allora, non erano noti ai Servizi sociali per le complessità che invece esistevano e per il contesto non sano in cui vivevano da tempo”. Un tempo in famiglia, in un contesto sereno, ha riparato ferite profonde, lasciando questa volta il segno dell’amore.

Fu poi la volta di una una bambina di poco più di 2 mesi, malnutrita, ammalata non accudita. “Infine è arrivato Carlo, con noi da fine febbraio: ma del suo progetto di vita, purtroppo, si sa ancora molto poco.

Oggi Carlo ha 14 mesi e mezzo. “I primi giorni  lo tenevo in braccio in terapia intensiva per problemi respiratori – ricorda Claudia – non aveva nessuno e quindi andavo ogni giorno da lui. Si aggrappava a me con forza.”

I figli di Claudia e Luca si sono subito innamorati di quel bambino che “all’inizio era molto nervoso e agitato. Per 4 mesi voleva stare solo attaccato a me – dice Claudia- mentre ora si lascia avvicinare da tutti”.

Claudia e la sua famiglia stanno donando a questo bambino il senso della famiglia di cui era stato privato i primi giorni di vita. “Gli auguriamo il meglio che la vita possa offrirgli, – dicono i genitori – nel frattempo faremo il possibile per farlo vivere in serenità, facendogli capire che è amato e voluto”.

La famiglia racconta che in questo percorso affidatario il supporto principale arriva da Ai.Bi. che fa da tramite con i Servizi sociali di riferimento.

Per i bambini accolti in affido, oltre agli aggiornamenti sulla crescita e lo stato psicofisico dei minori, la famiglia affidataria deve garantire incontri protetti con i familiari di sangue (genitori, nonni o famiglia allargata), se esistenti e se ammessi agli incontri. “Questo significa dover gestire poi, e quindi accogliere di nuovo, lo spaesamento, il nervosismo o le ansie dei bambini che comunque vivono durante questi momenti”.

Un impegno che è anche vocazione per queste coppie che offrono una disponibilità così ampia: amare in modo incondizionato bambini che proseguiranno la loro vita personale in altri nuclei familiari o, quando non possibile l’adozione, in comunità per minori.

Sono vite umane, occorre tenerlo sempre presente. Se dovessimo dare un consiglio, diremmo alle coppie di vivere questa esperienza nel modo più naturale possibile: l’affido contiene in sé delle fatiche che regalano tanto sia a noi che ai figli. Le nostre giornate sono normali, con un impegno in più ma come sarebbe in tutte le famiglie se vi fossero bambini con qualche esigenza diversa. Siamo fortunati – concludono – perché la presenza di altri figli aiuta i bambini traumatizzati a riprendersi con maggiore facilità per la presenza di altri ragazzini in famiglia. Ma anche coppie senza figli o single possono essere risorse importanti: per ragazzini più grandi o adolescenti che hanno bisogno di attenzioni diverse e modelli positivi di adulti con cui confrontarsi”.