Affido: ma perché ci hanno nascosto la sua storia?

Stefania scrive:

Cara Ai.Bi.,
innanzitutto vi ringrazio per l’opportunità di confronto che ci offrite grazie alla vostra interessante rubrica.
Mi chiamo Stefania, ho 38 anni, vivo in provincia di Milano  e sono sposata da dieci anni con Marco. Sono mamma di un bambino di 9 anni di nome Niccolò.
Circa 4 anni fa io e mio marito abbiamo conosciuto delle famiglie affidatarie e da allora è nata in noi come coppia e come famiglia la volontà di diventare famiglia affidataria.
Da 2 anni, ormai, abbiamo in corso un progetto di affido con una bambina di 5 anni.
La piccola C. ha avuto un passato difficile caratterizzato da numerosi episodi di maltrattamenti e nel corso di questi due anni di affido ci siamo resi conto che non eravamo stati esattamente preparati dai servizi sociali alle reali esigenze della bimba.
Io e mio marito abbiamo sempre avuto la preoccupazione che non ci fosse stata raccontata tutta la sua storia. Questa situazione condiziona il nostro rapporto con la bambina e ci porta ad interrogarci continuamente sulla nostra capacità di genitori affidatari.
Non possiamo non chiederci: se i servizi sociali ci avessero dato maggiori elementi non saremmo stati in grado di rispondere meglio alle esigenze della piccola C.?
Grazie
Stefania e Marco


 

Gentilissimi Stefania e Marco,

grazie per aver animare la nostra rubrica con le vostre domande.

Leggendo la vostra lettera mi sono venuti in mente molti racconti, anche di famiglie che incontriamo durante il gruppo di mutuo aiuto tra famiglie affidatarie, in cui molto spesso emerge, come elemento di forte preoccupazione, l’aspetto che menzionate.

Nella maggior parte delle situazioni, da quello che ho potuto osservare nella mia esperienza di lavoro con diversi Servizi Sociali, gli operatori che presentano il “caso” descrivono il bambino che andrà in affido secondo i tratti che hanno potuto conoscere di lui tramite il contatto personale, oppure tramite altri operatori che incontrano il minore durante gli appuntamenti del servizio di Assistenza Domiciliare per Minori. Ma c’è sempre una piccola zona d’ombra che nel bambino non è possibile “descrivere”, proprio perché riguarda la sua situazione di continua evoluzione.

Altro aspetto da non sottovalutare è il “contesto” in cui conosciamo il bambino. il modo in cui viene presentato, rispecchia i suoi comportamenti (come reagisce e agisce) collocati nel contesto in cui si trova in quel momento: ad esempio nella casa della famiglia d’origine, in comunità ecc. Non sempre si riesce a prevedere – e quindi ad aiutare – la famiglia nel compito di immaginare in modo completo come il bambino potrà comportarsi e agire una volta in casa della famiglia affidataria.

Detto questo poi, ciò che ora si può fare (anche rispetto alla vostro rapporto con C. e di conseguenza alla tutela del progetto di affido) è chiedere aiuto ai servizi che vi stanno accompagnando lungo questo percorso, in modo da riuscire ad affrontare e rileggere insieme tutti gli elementi che voi famiglia affidataria riuscite a cogliere.

Siete voi che vivete insieme alla bambina, per cui siete voi che ne raccogliete i limiti, le difficoltà, ma anche le risorse e le ricchezze.

Il mio consiglio: può essere utile condividere con altre famiglie affidatarie le vostre fatiche e il percorso che state vivendo. Così da poter trovare un ulteriore supporto, oltre a quello già offerto dal vostro servizio sociale.

 

Valentina  Bresciani – Settore Affido e Servizi Italia e coordinatrice Case Famiglie di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini