Amare un figlio senza dire “mio”

Affido-temporaneoDiciamolo subito: chiedere un figlio in affido è altruismo puro. Amore a perdere. Perché il bimbo lo puoi tenere solo due anni. Perché hai la certezza matematica che avrà difficoltà psicologiche, cognitive, a volte di salute. Perché continua a vedere la stia famiglia, cosa molto complicata. Però l’affido, diciamo anche questo, è orinai l’unico modo per diventare genitori, sia pure a tempo determinato, in pochi mesi (i tempi dell’adozione sono sciolto pili lunghi). E così poter fare del bene. Consiglio a tutti, una volta nella vita, di parlare con una madre affidataria, lo l’ho fatto.

Ho incontrato l’economista Sasnanta Guido, 45 anni. Vive a Milano e viene da anni di volontariato:. «Non riuscivo ad avere bambini e dunque ho pensato di prenderne in affido: 24 mesi fa è arrivata Elena. A cinque anni diceva poche parole. Oggi sta bene, parla alla perfezione, è serena, ha una vita normale. I suoi genitori li vede una volta al mese. Il padre in un oratorio, i fratelli liberamente. Con noi è felice, sa d’avere due padri e due madri, le abbiamo detto che per questo è più fortunata dei suoi compagni, Quando chiede: “Ma noi siamo una famiglia?”, mi viene un sussulto. Sì, lo siamo. Non credo che potrei amare più di così un figlio naturale»,

L’affido è uno strumento elastico, pragmatico e poco burocratico. Che vede protagonisti non tanto i lentissimi Tribunali dei minori, quanto i centri affido del Comune, i loro assistenti sociali, le onlus di volontariato. E i genitori affidatari, che possono prendere permessi e aspettative, al lavoro, come per una maternità. E che possono essere single, conviventi, o addirittura pensionati.

Come Nina M., mamma di Teo, 8 anni. Il cui padre naturale è un violento e la minaccia. Per questo non vuole che scriva il suo vero norie. «lo e mio marito non abbiamo voluto figli: lavoravamo dalle 8 alle 20. Senza aiuti, come potevamo crescerli? Quando però sono stata prepensionata, m’è balenata l’idea dell’affido, di un figlio che non è tuo, ma che devi meritarti. Un ancore in salita, perché lui continua a vedere suo padre, l’unico parente che ha. E la cosa destabilizza tutti, soprattutto liti. Dopo un anno di calci e pugni ai compagni di scuola ora non è più spaventato. L’affido è una battaglia che combatti perché c’è qualcosa da salvare». Ma c’è anche chi vi vede un modo per educare i propri figli alla solidarietà.

«Volevo che le mie due bambine imparassero ad accogliere chi ha un handicap sociale», dice Luisa Caiini, 51 anni. «Così abbiamo ospitato Edo, 13 anni, un ragazzino difficile. Quando è arrivato da noi, è successo di tutto: liti tra le mie due figlie, tensioni tra me e mio marito. Ma siamo arrivati a fine progetto, lui si è stabilizzato ed è tornato dalla madre. L’associazione a cui ci siamo rivolti si chiama Affido professionale: grazie a loro, oltre al forfait dell’Inps, abbiamo firmato un contratto a progetto di 36 mesi, remunerato. A risarcimento del lavoro a tempo pieno a cui devi rinunciare: i bambini problematici necessitano di molto tempo».

Al 31 dicembre 2010 i minori in affido familiare, in Italia, erano 14.528. Nel ‘98199 erano 10.200, il 42 per cento in meno. Non si tratta di “senza-famiglia” (solo l’l per cento è orfano), anzi: il 60 per cento di loro vede regolarmente i genitori. Nonostante ciò, l’affido è diventato uno strumento di solidarietà di successo. Per alcuni sarebbe una via mascherata all’adozione (che invece è in calo, sempre più strangolata dalla lentezza dei Tribunali dei minori, pochi e oberati di lavoro). Su 100 casi d’affido portati a termine, l’11,8 per cento prosegue con i bambini che vanno in preadozione, perché le difficoltà nella famiglia d’origine non accennano a risolversi.

«Lo scopo dell’affido è far rientrare il piccolo, dopo un percorso che lo aiuta a superare varie difficoltà, nella sua vera famiglia», spiega il giudice Simonetta Matone, per anni sostituto procuratore al Tribunale dei minori romano. «Purtroppo molti genitori affidatari se ne dimenticano e interpretano quest’esperienza come un primo passo verso un “impossessamento”, chiamiamolo così, del bambino. Con tutti i problemi che questo comporta».

L’affido è ambito non solo per la sua velocità, ma anche per le sue caratteristiche di elasticità. Ci sono progetti che durano anche solo nel weekend, nelle vacanze estive, o addirittura giornalieri. «II nostro obiettivo è affidare circa 300 bambini l’anno, e ci siamo vicini», dice Pier Francesco Majorino, assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano, che sul tema organizza campagne di sensibilizzazione, seminari, eventi. «Diciamolo: i Comuni intervengono là dove lo Stato latita. Forse perché la famiglia affidataria non è di tipo tradizionale, ma e un esperimento moderno, flessibile, ancora non percepito come entità da tutelare. Invece, il concetto da far passare è: volete aiutare un bambino? Non sarete lasciati soli».

A fare da ponte tra i genitori a tempo e i bambini in difficoltà sono le onlus. Perché nell’affido il grosso delle pratiche passa dalle cooperative di solidarietà che collaborano poi con gli assistenti sociali comunali. Tutto sommato, il meccanismo dell’affido è ben oliato, Per Adria-na Ciampa, dirigente del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la legge funziona e si è impegnati da tempo a migliorarne l’attuazione: «I servizi sociali andrebbero rafforzati nelle loro competenze e bisognerebbe investire maggiori risorse nella prevenzione dell’allontanamento del bambino dalla stia famiglia con efficaci interventi a supporto delle capacità dei genitori. Prevenzione precoce e affidamento familiare sono strumenti a garanzia del “superiore interesse del bambino” a vivere nella propria famiglia o, quando non è possibile, comunque in famiglia. Di questi strumenti, poi, non va sottovalutato il positivo rapporto costi-benefici».

Sì, perché l’affido conviene a tutti. Allo Stato perché collocare un piccolo in una famiglia costa meno che ospitarlo in strutture per minori, cori le loro rette da 100 euro al giorno. E al bambino stesso. Perché in famiglia può trovare tanto amore in più.

(Grazia, Monica Bogliardi, 25 Aprile)