Prevenire l’abbandono? Curando il cuore e la ragione

cullaLa bambina recentemente salvata dalla culla termica dell’ospedale di Firenze mette in luce un ambiguità: il Paese che si è commosso per la piccola Daniela strappata alla morte è lo stesso che pare indifferente alla piaga degli aborti. Nella sua mente e nel suo cuore risuona anche quello che sente, avverte e percepisce intorno a sé, nella famiglia, nella scuola, nel luogo di lavoro, su tutti i mezzi di comunicazione. Ecco perché il Movimento per la vita dall’inizio degli anni Novanta ha inaugurato, in varie città di Italia, le “culle per la vita”. Ne parla Marina Casini in questo articolo che riportiamo integralmente e pubblicato sulle pagine di Avvenire il 09 gennaio 2015 a pag 26
Insieme al nuovo anno è nata anche Daniela, la bambina di un chilo e 700 grammi, trovata all’alba del 2015 nella “culla termica”, inaugurata due anni fa presso l’ospedale di Careggi a Firenze. Il fatto è noto: una mamma ha dato alla luce la sua bimba, consegnandola poi alla cura di persone che avrebbero potuto accudirla, nutrirla di cibo e di amore, circondarla di premure, istruirla, farla sbocciare in una donna…

Questo è stato possibile perché la solitudine e l’angoscia di quella mamma è stata accompagnata anche dalla presenza silenziosa della culla tecnologicamente avanzata (termica e collegata a un impianto di segnalazione acustica e video che rileva la presenza del neonato) messa lì a dire che i bambini non si buttano, ma si accolgono (“noi ci siamo: se tu non puoi tenere tuo figlio, provvediamo noi”). I quotidiani – Avvenire in primis – hanno riportato la notizia sottolineando la bellezza di una vita salvata attraverso un gesto disperato, ma d’aurore; hanno riferito della gara di solidarietà, una vera e propria «catena d’affetto che attraversa i cuori e smuove le coscienze», per accudire a adottare la bambina; hanno illustrato il progetto che ha sostenuto l’iniziativa da incoraggiare con campagne di informazione e sensibilizzazione multilingue, in modo da evitare abbandoni nei cassonetti e infanticidi. Tutto bello. Tutto giusto. Tutto buono.

E allora l’aborto? Non c’è una grave contraddizione tra una società che, da un lato, distoglie lo sguardo dal più bambino dei bambini (il figlio non ancora nato) permettendone la soppressione come servizio pubblico e gratuito, e che, dall’altro, si impegna per salvare dall’abbandono e dalla morte i bambini appena nati? Il bambino – nato o non ancora nato – non è forse lo stesso?

È vero che la difesa della vita nascente è prima di tutto nella mente e nel cuore della madre, ma la madre non è una monade chiusa e isolata.

La bambina recentemente salvata dalla culla termica dell’ospedale di Firenze mette in luce un ambiguità: il Paese che si è commosso per la piccola Daniela strappata alla morte è lo stesso che pare indifferente alla piaga degli aborti

Nella sua mente e nel suo cuore risuona anche quello che sente, avverte e percepisce intorno a sé, nella famiglia, nella scuola, nel luogo di lavoro, su tutti i mezzi di comunicazione. Ecco perché il Movimento per la vita dall’inizio degli anni Novanta ha inaugurato, in varie città di Italia, le “culle per la vita”. Le culle sono espressione di questo ambiente sociale ricordando a tutti che la vita non può essere mai rifiutata, in nessuna fase, in nessun momento, che non c’è differenza tra bambini nati e bambini non nati. Per questo, il senso più profondo e autentico delle moderne “ruote” non è solo quello di evitare – dopo il parto, o nella sua imminenza – l’abbandono di un neonato tra i rifiuti o un infanticidio, ma è anche e soprattutto quello di portare lo sguardo sul figlio prima della nascita. Le culle sono anche strumenti per combattere la piaga dell’aborto.

E l’aborto volontario, infatti, il più drammatico degli abbandoni. Esso è intrinsecamente connesso alla morte cagionata. Questo abbandono prima che fisico è mentale e culturale. Che cosa sono la legittirnazione dell’aborto (anche nella forma chimica e farmacologica), e l’avversione nei confronti dell’obiezione di coscienza, se non il drammatico abbandono di una moltitudine di esseri umani da parte del pensiero e del cuore? La drammaticità dell’abbandono è evidente nel linguaggio che cancella concettualmente il diritto all’esistenza del piccolissimo bambino, e diviene tanto più drammatico quando all’abbandonato viene negata la piena umanità, e l’abbandono viene camuffato da “conquista civile”, “espressione di libertà”, “atto terapeutico”, addirittura “diritto umano fondamentale”.

Ben vengano dunque le moderne ruote o, meglio, le “culle per la vita”. Esse però funzionano davvero solo se rendono visibile e operativo anche lo sguardo della società sul figlio concepito che vive sotto il cuore della sua mamma.