Emergenza terremoto: si possono adottare i bambini turchi o siriani vittime del sisma?

Di fronte a emergenze come calamità naturali o guerre, tante persone manifestano la propria disponibilità ad adottare i bambini dei Paesi colpiti. Ma le cose, giustamente, non sono così semplici e immediate come la spontanea generosità vorrebbe. Ancora una volta urge l’istituzione dell’affidamento internazionale

Succede a ogni emergenza che travolge l’opinione pubblica e fa rimbalzare in tutto il mondo immagini di famiglie distrutte e bambini rimasti soli: che sia sul profilo Facebook dell’Associazione, via mail o con una telefonata, si moltiplicano le domande che, riassumendo e semplificando, suonano più o meno tutte così: “Si può adottare un bambino vittima del…?”, dove al posto dei puntini si può mettere di volta in volta l’emergenza del momento: terremoto; guerra; carestia; alluvione, ecc.

Perché di fronte a un’emergenza le adozioni, in genere, vengono bloccate

Rispondere non è mai semplice, perché i sentimenti che entrano in gioco di fronte a una domanda come questa sono molti e diversi tra loro: da un lato c’è sicuramente la condivisione di uno slancio emotivo comprensibile, giusto e bello. Dall’altro, però, c’è anche la consapevolezza che “adottare un bambino” non è come comprare un nuovo prodotto al supermercato e l’afflato del momento non è motivo sufficiente (e nemmeno necessario, a ben vedere) per sorreggere a lungo termine una decisione così radicale come quella di cambiare, per sempre, il destino di una famiglia e di uno o più minori.
A queste considerazioni di carattere “emotivo” si aggiungono, poi, quelle più concrete, la principale delle quali, per contro-intuitiva possa essere di primo acchito, è decisiva: quando c’è un’emergenza di portata tale da stravolgere gli equilibri e la vita di un Paese, le adozioni generalmente vengono bloccate!
Ma come, si potrebbe pensare: si toglie la possibilità di adottare i bambini proprio nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto? Risposta veloce: sì! Ed è “sì” perché, proprio data l’emergenza, diventa complicato garantire la correttezza di tutte le informazioni indispensabili per poter dichiarare adottabile un minore. Per fare un esempio drammaticamente concreto: come si fa a garantire l’adottabilità di un minore se non si può sapere con certezza dove siano tutti i vari componenti della sua famiglia? Se siano vivi o meno? Se chi è rimasto abbia la possibilità e il desiderio di prendersene cura? Impossibile. Per questo le adozioni vengono bloccate, ed è una decisione presa proprio a tutela dei minori stessi, anche per limitare il più possibile la possibilità di traffici illeciti e l’intromissione di malintenzionati che, purtroppo, proprio nelle pieghe delle situazioni più drammatiche provano a infilarsi.

La mancanza di una soluzione come l’affido internazionale

Venendo più allo specifico dell’attuale emergenza terremoto, poi, ci sono anche degli elementi relativi ai Paesi coinvolti che aggiungono un tassello alla risposta se sia possibile adottare o meno un minore: dalla Siria le adozioni sono di fatto ferme da quanto è iniziata la guerra, proprio perché manca la possibilità di interfacciarsi con un’autorità di riferimento e perché mancano le condizioni per garantire la raccolta delle informazioni di cui si è detto in precedenza.
Dalla Turchia, invece, formalmente le adozioni sono possibili, ma basta guardare i dati pubblicati annualmente dalla CAI per vedere come negli ultimi tre anni da quel Paese non sia arrivato in adozione un solo minore,. Bisogna anche considerare che la maggioranza della popolazione turca è di religione musulmana e per il diritto islamico l’adozione, per come la intendiamo noi, è vietata. Esiste la Kafala, un istituto giuridico previsto dalla Convenzione dell’Aja, che però, come più volte sottolineato da Ai.Bi., in Italia non è riconosciuta, nonostante, proprio per le sue caratteristiche, potrebbe essere utilizzata come “ponte” anche nell’ottica di istituire un “affidamento internazionale” che, in casi come quello del terremoto in Turchia e Siria o, prima, della guerra in Ucraina, è il vero tassello mancante per un sistema di accoglienza che possa davvero essere immediato, efficace e orientato, come dev’essere, al maggior interesse del minore.
Ecco perché, ancora una volta, di fronte all’ennesima emergenza che ha colpito e continua a colpire migliaia di bambine e bambini, Ai.Bi. torna a chiedere con forza l’istituzione dell’affido internazionale, con norme certe che lo regolamentino e la realizzazione di corridoi umanitari che permettano ai minori di venire in Italia in modo sicuro, nel rispetto delle misure di protezione dell’infanzia previste dall’ordinamento.