Adottare un piccolo sieropositivo? È veramente riservato ai “più coraggiosi”?

Marika scrive:
Dopo tanti mesi di ragionamenti con mio marito prendo carta e penna e vi scrivo. Leggo tanti appelli sul vostro sito per trovare una famiglia a dei bambini e vedo che alcuni di essi sono sieropositivi o malati di AIDS… Noi stiamo aspettando una risposta dal tribunale per l’idoneità, e ci stiamo domandando se avremmo il coraggio di dare disponibilità ad adottare uno di questi bambini. Da un lato sentiamo che dovremmo farlo ma dall’altro abbiamo paura. Temiamo di non saper gestire una situazione così complessa… Cosa dovremmo fare?

Carissima Marika,

le parole AIDS, HIV e sieropositività hanno un’ enorme capacità di suggestione e attivano molte paure. La conoscenza di quanto siano invece quadri patologici differenti è ciò che può aiutare a mettere ordine e quindi maggior tranquillità nell’ analisi delle proprie disponibilità di accoglienza.

È bene ricordare che la maggior fonte di contagio in età pediatrica è quella che si definisce trasmissione verticale, cioè dalla madre infetta. Su 100 bambini che nascono da mamme Hiv positive o malate di AIDS, mediamente soltanto 10-20 al massimo sono infetti, mentre agli altri la mamma trasmette attraverso la placenta solamente gli anticorpi, ma non il virus. Dunque quasi tutti i bambini nati da madre sieropositiva sono sieropositivi in quanto presentano gli anticorpi materni, ma, grazie alle misure di prevenzione, meno del 10% di loro è realmente infetto ( secondo studi recenti in Italia il dato scende a circa il 2%).

Invece, se ci troviamo di fronte a un bambino con più di 18 mesi, che continua a presentare anticorpi anti-Hiv, possiamo essere sicuri che è infetto, in quanto, a quell’età, tutti gli anticorpi della madre sono stati eliminati. L’ infezione da hiv è la sieropositività.

E’ fondamentale evidenziare che negli ultimi 10-15 anni, l’infezione pediatrica da HIV è passata da condizione fatale a condizione cronica trattabile.

La medicina ha sviluppato nuovi farmaci che riescono a mantenere il virus HIV debole e in numero ridotto. La sieropositività è diventata così un’infezione cronica, con la quale è possibile convivere.

La terapia antiretrovirale ha lo scopo di limitare la moltiplicazione del virus HIV, consentendo la ripresa del sistema immunitario. Se il trattamento è efficace, la carica virale nel sangue (“HIV-RNA”) si riduce progressivamente fino a negativizzarsi: il virus rimane cronicamente presente, ma non si riproduce e il sistema immunitario riprende a funzionare.

La terapia antiretrovirale dimostra la sua efficacia nel prolungare l’aspettativa di vita e nel diminuire la frequenza delle infezioni opportunistiche (da microorganismi, cioè normalmente presenti, ma che divengono patogeni solo in caso di compromissione del sistema immunitario)

L’AIDS è una sindrome caratterizzata da un progressivo deterioramento del sistema immunitario

L’AIDS non è più una malattia mortale, ma non è scomparsa. Anche se i farmaci possono ritardarne l’insorgenza indebolendo il virus, non si può escludere la possibilità dello sviluppo della sindrome, che resta comunque la tappa finale nella storia naturale della malattia.

Prima della disponibilità di farmaci antiretrovirali efficaci, la fase di AIDS conclamata insorgeva in media dopo 8-10 anni dal contagio. La sopravvivenza media nella fase di AIDS, sempre in assenza di terapia specifica, era di 3 anni.

Con l’avvento della HAART (Highly Active Antiretroviral Terapy, terapia antiretrovirale altamente attiva), l’insorgenza della malattia è così rallentata e l’aspettativa di vita così aumentata che non esistono studi certi al riguardo. Esiste una estrema variabilità individuale, in dipendenza anche dagli specifici fattori virali, da eventuali malattie concomitanti, dalla tempestività e dalla costanza nell’assunzione dei farmaci.

Nella gestione del bambino con infezione da HIV è importante soprattutto la diagnosi precoce: gli interventi terapeutici pur non essendo risolutivi, permettono di migliorare la qualità della vita e di prolungare l’ aspettativa di vita.

Per quanto riguarda la possibilità di contagio e l’ inserimento del piccolo sieropositivo in ambito sociale è importante sapere che la trasmissione dell’Hiv è stata dimostrata solo in seguito al contatto con pochissimi liquidi corporei: il sangue, il liquido seminale, le secrezioni vaginali e il latte materno. Nessun altro liquido corporeo ha mai dimostrato di poter essere fonte di contagio.

Tutti i bambini HIV positivi possono e devono frequentare la scuola dell’obbligo. I genitori ed il medico curante di un bambino sieropositivo non sono pertanto tenuti a comunicarne lo stato all’atto dell’iscrizione. Sarebbe comunque auspicabile che il Medico scolastico fosse informato dai genitori dello stato di sieropositività del bambino per una migliore valutazione dei rischi d’infezione tipici della comunità in uno scolaro con difese immunitarie compromesse.

Relativamente alla possibilità di trasmissione dell’infezione ai compagni, l’unico vero rischio è rappresentato dal contagio attraverso il sangue. Tale rischio è nullo se in occasione di ogni sanguinamento vengono adottate le cosiddette precauzioni universali.

Spero con questo di essere stata utile nel dipanare parte dei vostri dubbi e delle vostre giuste umane paure. Diamo una chance a questi bambini, se lo meritano quanto è più degli altri.

Un sincero augurio

Dott.sa Claudia Stucchi

Medico Chirurgo