Adozione e scuola: “Taci tu che non sei altro che un figlio di p…”. Il consiglio della psicologa

Il bambino adottato deve avere la certezza che in famiglia può parlare di tutto ciò che gli viene detto dai compagni, senza paura di ferire i genitori o fare del male con il suo passato, ma che anzi è amato con tutta la sua storia

Dopo una adozione, ogni genitore ha ben presente che suo figlio gli chiederà sempre in varie fasi del suo sviluppo, in modi diversi, di raccontargli qualcosa di lui, la sua storia, il loro incontro, papà e mamma come erano prima di incontrarlo. Ma sa soprattutto che le domande “da dove vengo? Quali sono le mie origini? Com’erano i genitori biologici? Perché mi hanno abbandonato?” sono frequenti nell’esperienza adottiva. Riguardano infatti aspetti che si intrecciano con la costruzione dell’identità del figlio.

Con la crescita e il confronto con i coetanei, il bambino si pone tante domande sulla sua condizione, comprende che essere adottato vuol dire avere genitori biologici che sono differenti da chi lo sta crescendo, e comprende che prima di essere adottato è stato abbandonato: l’abbandono è un evento che il bambino non sceglie ma subisce, e in lui ci sono ricordi e sensazioni legati al tempo prima dell’incontro con mamma e papà, oltre a sentimenti di dolore e di rabbia.

Il bambino porta ai genitori la tematica dell’abbandono solo quando è stata raggiunta una certa sicurezza del legame, si sente di parlare solo quando si sente dentro una relazione accogliente, che lo può contenere, dove può trovare genitori forti, disponibili ad affrontare con lui questa tematica. Sapere che può parlare della sua storia, fa sentire il bambino parte di una famiglia che lo accoglie con tutto il suo passato.

Adozione e scuola. Il rapporto con i compagni di classe e la famiglia

Il tema della verità narrabile ha dunque un posto fondamentale tra le attenzioni da avere nel percorso adottivo. Quando si adotta non si adotta solo il figlio ma anche la ferita che porta con sé.

È importante parlare della sua storia, non imponendo, ma facilitando la narrazione del figlio: le storie hanno un peso a volte non indifferente, ma se vengono comprese ed affrontate in modo che il figlio possa fare pace con se stesso e con la propria ferita, ecco che il figlio stesso acquisirà maggiore sicurezza. Parlare di ciò che è accaduto nel suo passato è aiutarlo a comprendere meglio la sua storia e a rapportarsi con serenità ad essa.

Il bambino va informato sul suo passato, con modi adeguati alla sua età e al suo sviluppo, le domande vanno accolte, e il racconto va fatto ogni volta che il bambino lo chiede. Quando nella storia del bambino ci sono fatti ancor più dolorosi o che creano disagio, non vanno nascosti soprattutto se il bambino ne ha memoria, e nello stesso tempo non vanno usati per distruggere l’immagine dei genitori biologici. È importante passare il fatto che i genitori biologici non erano capaci di rapportarsi in modo diverso, che certi comportamenti di maltrattamento o devianti che hanno messo in atto sono sbagliati, ma sono stati fatti perché erano incapaci di fare altro: è un’immagine quindi di genitori biologici fragili e in difficoltà, che non sapevano svolgere in modo adeguato il loro ruolo di genitori, che gli volevano un bene non sufficiente a farlo crescere o magari non erano proprio capaci di amarlo.

Può essere difficile per un genitore non arrivare al giudizio e alla condanna di questi genitori biologici, ma è importante per non passare l’idea al bambino di essere a sua volta sbagliato.

Ecco che se il bambino ha potuto confrontarsi con i genitori sul suo passato, parlare delle sue emozioni relative alla sua storia, dei suoi ricordi su situazioni anche negative o che possono creare disagio, e ha sentito accoglienza e comprensione, sarà più forte nell’affrontare il confronto con l’esterno, con le possibili domande o affermazioni che arriveranno magari dai suoi compagni: infatti potrà capitare più volte che qualche compagno a scuola più o meno ingenuamente lo ferisca nei momenti di litigio, colpendolo sulla sua storia.

La forza che il bambino riceve da sentire che mamma e papà ci sono, lo ascoltano e lo sostengono è determinante in questi confronti con il mondo esterno; avere la certezza che in famiglia può parlare di ciò che gli viene detto dai compagni, senza paura di ferire i genitori o fare del male con il suo passato, ma che anzi è amato con tutta la sua storia, e che inoltre il valore della sua persona non è determinato dal suo passato, saranno la spinta per trovare il suo modo di confrontarsi con i coetanei senza ritirarsi di fronte a possibili battute o domande inopportune.

Anna Rossi

Psicologa e psicoterapeuta – Ai.Bi. – Amici dei Bambini