Adozione Internazionale. Può l’affido ostacolare l’adozione?

Una famiglia affidataria non può essere una soluzione definitiva poiché il minore vive in una sorta di limbo affettivo…

Carissima Ai.Bi.,

il bimbo di 9 anni, con cui siamo stati abbinati e che noi speravamo davvero potesse diventare nostro figlio, ci ha ripetuto più volte che non accetterà mai di venire in Italia con noi perché si trova bene con la famiglia affidataria con cui attualmente vive. Non sappiamo cosa fare. Stiamo pensando, seppure a malincuore, di rinunciare all’abbinamento. Può l’affido ostacolare in questo modo l’adozione?

Sara

Lucia Ciaramella – psicologa

Gentilissima Sara, l’essere umano è per natura “neotenico”, privo di automatismi e pattern comportamentali, al contrario del resto del mondo animale (il ragno appena nasce è già in grado di costruire la tela, pertanto di nutrirsi da solo, procacciandosi il cibo; la tartaruga appena nasce è in grado di camminare verso il mare e di nuotare), l’uomo, invece, viene al mondo immaturo (la scatola cranica aperta al momento della nascita, l’apparato muscolo scheletrico debole, la crescita del cervello alla fine della seconda decade della vita) e questo ha implicazioni psicologiche profonde. Lo stato di indeterminatezza, l’assenza di istinto, lo portano a non sapere apriori cosa fare e ad avere bisogno dell’aiuto degli altri.

L’uomo ha bisogno di un lungo periodo di accudimento nell’infanzia e un rapporto di lunga dipendenza dagli adulti che lo sostengono e lo accompagnano nella vita adulta.

La conseguenza dell’immaturità dell’essere umano è che la fase di accudimento e di allevamento dura anni e questo innesca una profonda dipendenza del bambino dal mondo degli adulti. Il neonato sviluppa fin da subito un attaccamento alle sue figure di riferimento adulte: “L’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba…”, sosteneva lo psicanalista John Bowlby osservando ripetutamente numerosi bambini “… e riveste un ruolo centrale nella relazione tra gli esseri umani, affinché l’individuo sviluppi in modo armonico la sua personalità”.

L’angoscia dell’abbandono e l’importanza di recuperare una “stabilità”

Il bambino abbandonato sperimenta una fase di smarrimento, angoscia totale e paura di morire, poiché la condizione di immaturità di cui abbiamo parlato in precedenza, lo espongono, a differenza di altre specie viventi, a situazioni di pericolo per la propria sopravvivenza e incolumità.

Accudimento e sostegno, le condizioni necessarie alla sua crescita, nel momento in cui chi genera non accoglie, vengono a mancare. L’inserimento in una famiglia affidataria dà al bambino la possibilità di trovare delle figure adulte che temporaneamente possono aiutarlo a contenere le angosce, a recuperare una stabilità di accudimento, un sostegno e un accompagnamento.

L’istituto non consente al bambino di avere delle figure di riferimento ferme, a causa del turn over al quale sono sottoposti gli operatori e al loro esiguo numero, rispetto ai minori collocati. La collocazione presso una famiglia affidataria sembra essere la migliore soluzione ad una situazione di emergenza, poiché è uno strumento mirato alla tutela del minore, un servizio di aiuto e sostegno, ma non può essere una soluzione definitiva poiché il minore vive in una sorta di limbo affettivo, dove non si sente “né carne, né pesce”. Il bambino abbandonato ha l’esigenza, come ogni bambino per crescere in maniera sana, della presenza di due genitori presenti, a cui potersi affidare.

Se il minore, al passaggio nella famiglia adottiva, avrà nostalgia della famiglia affidataria e timore di affidarsi ai neo genitori, è perché il solo modello che hanno sperimentato è quello di bambino in affido. Mano a mano che vivrà una nuova quotidianità e avrà a disposizione due genitori tutti per lui, tenderà a stabilire un modello di attaccamento, poiché è nella natura umana cercare una “base sicura”, per usare le parole di Bowlby, sulla quale crescere e svilupparsi in modo equilibrato e sano.

Lucia Ciaramella – Psicologa Ai.Bi. sede di Salerno