adozione internazionale, stop a pagamenti in contanti e in nero degli Enti Autorizzati

Adozione. Botta e risposta: “Chi è tormentato dall’idea di cercare le proprie origini non si è mai sentito veramente figlio nella propria famiglia”

Lettera aperta di Greta, figlia di adozione, ad Avvenire: il messaggio chiaro di chi è stato adottato rispetto all’ipotesi di una legge per il diritto a scoprire le proprie origini, sta tutto nella volontà della madre biologica di partorire in anonimato

Non solo: la possibilità di rifiuto da parte di questa mamma di accettare un incontro con il figlio abbandonato, viene definita “una ricerca che, alla fine, ha fatto male a molte persone: a una donna, al figlio e anche alla famiglia adottiva”. La replica del giornalista, che rilancia comunque l’ipotesi di una legge

legge sul diritto dopo l'adozione a scoprire le origini, il no di una figlia adottiva ad AvvenireUna legge che dia la possibilità sia ai bambini abbandonati subito dopo essere stati dati alla luce, come pure a quelli venuti al mondo attraverso le alchimie dell’ingegneria genetica e della fecondazione artificiale, di cercare – dopo l’adozione, diventati grandi – nel loro passato per trovare – se possibile – l’origine biologica della loro esistenza: è quanto rivendicato da settimane il quotidiano Avvenire, che in modo esplicito ‘tifa’ perchè l’ipotesi di una legge sull’origine biologica dei figli possa vedere la luce.

A questa indicazione, tuttavia, fa da contraltare il punto di vista della stragrande maggioranza dei figli adottivi nel nostro Paese, accomunati tutti nel pensiero che Greta, da Milano, ha scritto in una lettera aperta al quotidiano della CEI.

Nella missiva, rispetto all’adozione si legge che “la ricerca delle origini è di sicuro un aspetto importante per ogni figlio adottivo (soprattutto per chi viene da Paesi lontani) se viene intesa come ritorno alle proprie radici e alla propria terra, per poterne respirare odori e profumi e, quindi, riscoprire anche cibi e abitudini“. “Ma – aggiunge Greta – quando la ricerca di chi ci ha generato diventa il solo e unico scopo della nostra vita allora diventa un’ossessione che non porta a nulla“.

Come mai? La risposta, netta e molto chiara, è espressa tutta in una frase lapidaria della lettera: “Chi è tormentato dall’idea di cercare la propria mamma (come la chiamano questi ragazzi) non si è mai sentito veramente figlio nella propria famiglia“. Parola di una figlia adottiva che, grazie alla scelta dei suoi genitori, si dice “rinata nella mia famiglia” al punto da non aver “mai sentito il bisogno – anzi, il desiderio – di andare alla ricerca di chi mi aveva donato la vita“. Il messaggio chiaro, per Greta, è tutto nella volontà della madre biologica di partorire in anonimato: “Figlio/a mio/a, ho voluto donarti la vita perchè non era giusto non farlo, ora non posso proprio occuparmi di te e per questo ti dono a un’altra mamma e a un papà che sapranno amarti e crescerti, ti voglio bene e ti lascio andare“.

Una scelta che l’opzione di un tentativo di riavvicinamento potrebbe minare dall’interno, prestando il fianco alla possibilità che la mamma biologica possa rifiutarsi comunque di incontrare il proprio figlio o la propria figlia biologica, come d’altra parte ha scelto di fare dopo il parto. E a quel punto? Sarebbe stata “una ricerca che alla fine, ha fatto male a molte persone: a una donna, al figlio e anche alla famiglia adottiva“.

Da parte sua, il giornalista Luciano Moia, che in più articoli ha caldeggiato la possibilità della legge, replica confermando nell’ascolto dei racconti “di decine di figli adottivi” versioni analoghe a quella di Greta. Ma pur sempre ribadendo che “se il Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche raccoglie migliaia di aderenti, si tratta evidentemente di un desiderio che accomuna tante persone” e, quindi, merita una norma. Resta aperto, anche nella replica del giornalista, l’interrogativo su una legge “rispettosa del diritto delle madri all’anonimato“, peraltro da estendere – sempre secondo Moia – anche ai figli nati in provetta. Demandando al “Padre Eterno” il giudizio definitivo su un atto – quello di mettere al mondo un figlio attraverso una madre surrogata o in provetta – che, tuttavia, come scrive Greta, difficilmente può non inquadrarsi all’interno di una scelta egoistica e non da un atto d’amore. E che è e resta ben diverso dall’eventuale giudizio sulla persona che ha scelto liberamente di compierlo.

Fonte: Avvenire