Adozione. Russia. Abbiamo un bambino a 8000 km di distanza che chiede quando andremo a prenderlo

L’abbinamento. La paura del primo incontro e l’amore sbocciato in un attimo. La voglia di portare quel figlio a casa, il coronavirus e la lunga attesa… Storia di un’adozione ai tempi del covid.

 Abbiamo iniziato il nostro percorso di adozione circa 5 anni fa. Non riuscendo ad avere figli abbiamo deciso di  dare la nostra disponibilità all’adozione di un bambino.

La decisione della Russia è arrivata perché era l’unico Paese che ci dava una garanzia sulla possibilità di riuscire ad avere un abbinamento.

A novembre del 2019 ci è arrivata la notizia dell’abbinamento. Erano 2 anni che aspettavamo notizie e a dire la verità avevamo perso la speranza che arrivasse.

La scheda medica

Per tutto il percorso, ci avevano preparato alla famosa scheda medica, piena di termini a noi poco chiari o magari molto generici. L’abbiamo letta. Venivano riportate patologie tutto sommato buone, la solita dicitura di ritardo mentale e altre patologie lievi. Non importa. Un giorno per decidere e poi l’ok.

La partenza per la Russia

Il luogo è lontano. La paura di un viaggio in una parte del mondo a noi totalmente sconosciuta. Eravamo terrorizzati, non potevamo immaginare a cosa saremmo andati incontro, ma l’unico nostro pensiero era il bambino.

L’incontro è avvenuto al mattino, dopo una riunione con la direttrice dell’istituto e il suo staff nella quale ci hanno raccontato la sua storia e poi finalmente ci hanno messo al corrente della reale situazione medica.

Ci eravamo informati a casa con le poche notizie che ci avevano anticipato, ma leggere la scheda per intero è stata un’altra cosa. Arrivati a quel punto, non ci interessava niente di quello che c’era scritto, anche perché il bambino è sano ed ha bisogno solo di cure amorevoli e quello riportato nella cartella medica sono  patologie risolvibili una volta tornati a casa. Noi volevamo solo vedere il bambino

 Lo abbiamo incontrato in una stanza giochi e quando l’abbiamo visto abbiamo provato una gioia inspiegabile.

Il piccolo era seduto in un banco con la testa bassa. Quando l’abbiamo chiamato non aveva il coraggio di alzarla. Tempo 5 minuti e siamo subito riusciti a legare con lui. Sono stati 5 giorni meravigliosi, dove ogni minuto che passavamo insieme riuscivamo a rafforzare l’intesa con lui.

L’ultimo giorno è stato molto difficile. Abbiamo dovuto dirgli che saremmo dovuti ritornare a casa, ma gli abbiamo promesso che saremo tornati a prenderlo.

La sua espressione ci rimarrà per sempre impressa. Ha abbassato la testa e il suo sorriso si è spento. Pensiamo sia crudele questo, ma lo abbiamo accettato anche perché abbiamo avuto la rassicurazione dall’istituto che avrebbero tenuta viva la nostra presenza fino al nostro ritorno. Questo vi farà capire che la nostra risposta, se volevamo continuare con l’adozione era SI. Ormai, anzi già dal primo incontro, lui sarebbe diventato nostro figlio. 

L’istituto era  un luogo molto grande e, a nostro parere, dove i bambini sono ben seguiti. Tante stanze giochi, colorate e con delle insegnanti preparate. Insomma siamo tornati a casa consapevoli che avevamo lasciato nostro figlio in buone mani.

Al ritorno, dopo neanche un mese la pandemia.

Un disastro. Documenti da fare e uffici chiusi. Il nostro unico obiettivo era il bambino. Abbiamo chiamato chiunque potesse aiutarci, trovando gente che ci ha quasi sempre aiutato.

Oggi?

Oggi abbiamo un bambino a 8000 km di distanza che chiede quando andremo a prenderlo e noi non sappiamo cosa rispondere, questa è la cosa che ci rattrista e ci riempie di rabbia.

E’ possibile che non ci si renda conto che siamo in presenza di bambini e che per niente al mondo possiamo far pagare a loro il prezzo di qualche gioco politico?

Non credo ci sia bisogno di scrivere altro. Per noi il bambino è tutto e faremo di tutto per abbracciarlo.

Marta e Alessio