Adozioni internazionali. ‘Sbinamenti’ e reinserimenti familiari: il caso Congo e le omissioni di Silvia Della Monica

bambini congoNella complessa realtà delle adozioni internazionali, può accadere che, nel corso della fase procedurale, intervenga qualcosa che blocchi tutto e, per il superiore interesse del minore, porti al reinserimento di quest’ultimo nella sua famiglia biologica o in quella allargata. In ogni Paese di origine dei bambini adottati, infatti, può succedere  che si facciano vivi i genitori o i familiari – o presunti tali – di un minore avviato all’adozione. Questi ultimi possono ripresentarsi anche dopo lunghi periodi di “latitanza”, chiedendo di non procedere con l’adozione del loro congiunto e dichiarandosi disponibili a riprendere con sé il minore. Tali episodi possono verificarsi dopo la dichiarazione dello stato di abbandono del bambino da parte delle autorità locali e del successivo  avvio della procedura adottiva oppure a volte quando l’abbinamento del minore con una coppia adottiva è già stato realizzato e quindi comunicato.

I casi pregressi

Questa eventualità può accadere nelle diverse fasi dell’iter adottivo.  In Russia, per esempio, si sono riscontrati parecchi episodi  durante le fasi del dibattimento processuale. In Ucraina invece dopo l’udienza, nell’attesa che la relativa sentenza di adozione passasse in giudicato. Totalmente diversi i casi verificatisi in  Nepal, Paese con  procedimento adottivo a carattere amministrativo, dove il ripresentarsi dei presunti famigliari è avvenuto tra la proposta di abbinamento e la partenza della coppia adottiva alla volta del Paese. Mentre in Colombia  si sono registrati  casi eccezionali di presunti parenti dei minori addirittura  nel periodo di permanenza della coppia adottiva nel Paese.

Che cosa prevedono le procedure in questi casi

Le procedure adottive prevedono, qualora si presenti tale evenienza, che le autorità locali svolgano le opportune indagini al fine di verificare l’attendibilità o meno della “richiesta” di coloro che si presentano come parenti dei minori avviati all’adozione intenzionati a riprenderli con sé. Non sono mancati, infatti, nel passato, casi di “abusi”, quali per esempio richieste di denaro da parte di famigliari – veri o presunti – per “sbloccare” le situazioni di questi minori.

In ogni caso, quindi, le autorità locali sono chiamate a verificare se effettivamente vi siano condizioni famigliari adeguate al reinserimento del minore “reclamato”. Infatti le autorità locali devono essere del tutto  sicure di poter escludere il verificarsi di un secondo abbandono a danno del bambino.

A riguardo, ogni Paese ha delle linee guida che indicano le prassi da seguire. Non sfugge naturalmente a questa regola anche la Repubblica Democratica del Congo.

L’esperienza di Ai.Bi. nella Repubblica Democratica del Congo

Nello specifico, anche nell’esperienza di Amici dei Bambini nel Paese africano, si è dovuto procedere ad alcuni reinserimenti famigliari avvenuti dopo l’iniziale abbinamento del minore e la  successiva prosecuzione  della  procedura adottiva.

Tale attività di Ai.Bi. è stata, tra l’altro, anche segnalata dalle autorità congolesi con una nota di merito. Il 6 gennaio 2015, infatti, con una propria nota, il Ministero del Genere, Famiglia e Bambino scrive ad Ai.Bi.:

“in termini di cooperazione in materia di adozione internazionale l’associazione Ai.Bi. è e rimane la prima associazione italiana, citata ad esempio per la qualità dei documenti che costituiscono i dossier di adozione esaminati dalla Commissione interministeriale, per il suo apporto tecnico nello svolgimento della prima tavola rotonda di riflessione sull’adozione in RDC nel 2010 e per aver reinserito nelle loro famiglie biologiche quattro bambini abbandonati alla fine del procedimento di adozione”

Ovviamente, ogni “sbinamento” e successivo reinserimento viene comunicato alla Commissione Adozioni Internazionali e alla coppia adottiva interessata. Per quest’ultima, normalmente, le autorità locali procedono a proporre un secondo abbinamento.

Le omissioni di Silvia Della Monica

Tale prassi è stata seguita anche per i casi verificatisi nella Repubblica Democratica del Congo e citati dalla vicepresidente della CAI Silvia Della Monica nella sua audizione in commissione Giustizia della Camera del 12 ottobre.

In tale circostanza Della Monica parlò di 6 casi, affermando: “La Commissione ha preso in carico 50 procedure adottive in RDC, 6 delle quali con genitori disperati per non avere più i propri figli”.

Di questi 6 casi, 2 si sono conclusi con il reinserimento famigliare, essendosi presentato alle autorità congolesi, dopo diversi anni di assenza, un familiare per ciascuno dei due minori, chiedendo il reinserimento familiare alle autorità e al Centro che ne aveva la tutela. Nel merito le autorità della RDC dopo le necessarie verifiche hanno proceduto al reinserimento familiare. Cosa ben nota, alla vicepresidente della Cai: pertanto ci sfugge il motivo per cui Della Monica non ne abbia fatto alcun cenno nella sua audizione. Gli altri 4 bambini sono invece quelli coinvolti nel rapimento avvenuto il 7 marzo 2014 nel centro SPD di Goma.

Fatto sul quale Aibinews raccogliendo la sollecitazione del Presidente della Camera, On. Laura Boldrini pubblicherà nei prossimi giorni i documenti originali delle autorità della RDC al fine di stabilire la verità di quanto realmente accaduto.

Comunque basterebbe solo quanto sopra evidenziato circa la prassi del reinserimento familiare, per confutare ciò che ha affermato il giornalista de “l’Espresso” Fabrizio Gatti laddove sostiene, inizialmente che, a “rapire”  i 4 minori, sarebbero stati i rispettivi genitori e, in un secondo articolo, addirittura che il rapimento sarebbe stato una messa in scena organizzata da Ai.Bi in combutta con le autorità locali per nascondere il fatto che alcuni familiari avrebbero “reclamato” i loro figli dati in adozione.

Ma non sarebbe stato più semplice per i presunti familiari presentarsi alle autorità locali e richiedere il reinserimento familiare, come avvenuto per i due casi sopra citati?

I “riabbinamenti ” sono avvenuti?

Anche in tale evenienza, secondo la prassi consolidata, le autorità della RDC hanno proposto alla CAI di procedere con un nuovo abbinamento per le coppie “sbinate”. Che cosa poi in  realtà sia successo, non si è in grado di conoscere, non essendo più le coppie stesse in carico ad AiBi dal giugno del 2014.

La nostra speranza è che per loro si sia proceduto ad  un successivo abbinamento ad opera della CAI (come sembra avvenuto per coppie di altri enti coinvolte in reinserimenti familiari, almeno stando al tam tam dei social):  ma di ciò purtroppo la vice-presidente Silvia Della Monica non ne ha fatto cenno in audizione.