“Affido: oltre un certo limite di tempo deve diventare pre-adottivo”

Maria Grazia scrive:
Ancora una volta viene fuori che la legge italiana non è adeguata ai tempi. Non si possono lasciare i bambini nelle comunità educative in attesa che prima o poi la famiglia d’origine risolva i suoi problemi. Se davvero si vuol fare il bene del bambino e non essere sempre il Paese della ” famiglia del mulino bianco ” bisogna mettere dei paletti temporali oltre i quali il bimbo va in affido pre-adottivo. Così molte più coppie sarebbero felici di accogliere…

Cara Maria Grazia,

ha assolutamente ragione.

La legge più recente che regola l’affido familiare è la 149 del 2001 e, benché non sia stata ancora applicata nel suo complesso, è superata. Il problema di base di questa legge è proprio che non pone dei paletti temporali, o meglio li pone ma permettendo una ripetibilità che significa in effetti non porre limiti. È un limite virtuale, non vincolante.

Come ha affermato il dr. Vincenzo Spadafora, Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, «oggi nel nostro Paese è più preoccupante la mancanza di visione rispetto a quella, che pur esiste, di risorse». È proprio questo il problema; purtroppo l’approccio alla tutela dei minori spesso nasconde una visione adulto-centrica, secondo cui, in nome del diritto del minore a crescere nella sua famiglia, si trascinano molti affidi per un tempo indeterminato, lasciando che quel bambino non solo non cresca nella sua famiglia ma che non possa sentirsi figlio di un’altra coppia genitoriale. Un paradosso!

Le case famiglia e le famiglie affidatarie sono gli unici veri sostegni che si possono dare ad un bambino allontanato dalla famiglia d’origine; la stessa legge dichiara la priorità di questo tipo di intervento rispetto alle comunità educative. Questi interventi però necessitano di valutazioni serie delle possibilità di recupero dei genitori in difficoltà, di un chiaro progetto educativo su genitori e figli, di una durata definita oltre alla quale il rischio (o la certezza) è che il possibile bene del genitore si traduca in un abuso per il figlio che rimane in attesa di una mamma e un papà veri ed unici.

Quindi, a parte il reale problema legislativo e la reale mancanza di risorse economiche, il problema è culturale. Ancor meglio, si possono evidenziare due questioni importanti.

La prima, come dicevamo, è l’incapacità di valutare le situazioni secondo il “sentire” del bambino: l’adulto ha troppo spesso diritto ad una nuova occasione; l’adulto spesso perde parzialmente la patria potestà, ma non il suo stato di genitore; l’adulto può impugnare un decreto del Tribunale dei Minori che lo sfavorisce. Il figlio rimane bloccato (emotivamente e psicologicamente) in attesa del riscatto del genitore; ma in quel tempo – corto per gli adulti e lunghissimo per il bambino – di chi è figlio?

La seconda questione è pensare che il bambino in affido viva una situazione ottimale. L’affido è ottima cosa se non si trascina. Sentimenti di colpa, di tradimento, di desiderio di lasciarsi andare con gli affidatari ma non poterlo fare fino in fondo per lealtà nei confronti dei genitori biologici, sentimenti di insicurezza e molto altro, lo accompagnano soprattutto in quelle situazioni così gravi per cui i legami con la famiglia d’origine sono pressoché nulli. Eppure non è poi così insolito sentir affermare che il bambino in affido è fortunato perché ha due famiglie.

 Il 72% degli affidi sono giudiziari e il 32% dura (ben) oltre i 4 anni. Sintomo, quindi, di situazioni gravi; quanti di quei bambini avrebbero bisogno di una famiglia adottiva? Non è possibile saperlo perché non esiste uno studio qualitativo sugli affidi in corso in Italia; l’esperienza ci dice però che per molti, troppi, di questi bimbi la relazione con la famiglia è praticamente nulla.

L’affido di lungo termine ha ragione d’esistere se si configura come un supporto tra famiglie (affidi consensuali), per quelle situazioni in cui il bambino ha una reale relazione affettiva e di cura – anche se questa a volte è insufficiente – con i propri genitori biologici.

Ha ragione, cara Maria Grazia: molte coppie sarebbero felici di accogliere un bambino come figlio, ma ancor più importante è il diritto di ogni bambino ad essere figlio.

Cristina Riccardi, membro del Consiglio direttivo con delega politica all’affido familiare di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini