Antonella Ferrari: le battaglie per diventare madre. “Ma con mio marito Roberto siamo famiglia, comunque”

L’attrice e scrittrice Antonella Ferrari, autrice del libro “Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta”, racconta le sue lotte per diventare madre, le delusioni e il grande lavoro fatto su di sé e per tutte le donne che si trovano in situazioni analoghe alle sue

In Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta (HarpersCollins) Antonella Ferrari, attrice e scrittrice, si svela con onestà e ironia: con onestà, perché è generosa di ricordi, situazioni, casi della vita che lei stessa ha vissuto e nella quale molte donne possono rivedersi; con ironia perché è questa la cifra che ha scelto, con la quale riesce a osservare la realtà esterna così come quella intima della maternità mancata.
La sua battaglia contro la sclerosi multipla – la principale ‘concausa’, come lei stessa ammette, che non le ha permesso di diventare madre – era stata narrata nel libro precedente, Più forte del destino così come in un monologo al festival di Sanremo di due anni fa. Molti di voi la ricorderanno così coraggiosa, sul palco dell’Ariston, con un abito rosso fiamma e la voce battagliera.
Lunedì 13 novembre, Antonella Ferrari incontrerà lettori e lettrici a Milano alla libreria Rizzoli (ore 18) per presentare il suo ultimo libro. Le abbiamo chiesto qualche anticipazione durante una breve intervista telefonica, nella quale Antonella ha offerto alcuni spunti per comprendere meglio la sua storia. La scrittrice, come dicevamo, convive con una forma di sclerosi multipla, così che le strade per diventare madre – dalla fecondazione assistita all’adozione – le sono state a oggi precluse. Ma il desiderio di maternità non si cancella così facilmente.

Cosa ti ha spinto a parlare ancora di un tema così difficile per te?
Credo sia importante venire a patti con il dolore, accettare la realtà e provare a sentirsi madre in altri modi: (ridendo) io ho il mio piccolo Grisù, il “bambino peloso” per esempio… (il suo cane, ndr).Tuttavia l’obiettivo principale per me era far sì che le donne che hanno avuto un percorso simile al mio siano rappresentate da me, si rivedano in queste pagine.
Il primo libro faceva pace con ricordi dolorosi, così che ho pensato di mettermi nuovamente in gioco, durante il Covid, e scrivere di nuovo, nell’intento di far pace anche con questo dolore che spesso bussa alla porta.

Scrivere quindi ha guarito in qualche modo le ferite?
Anche a distanza di tempo rimane per me un argomento difficile da trattare: per me la scrittura è stata senz’altro terapeutica ma conosco molte donne, con un percorso simile al mio, che non hanno avuto coraggio di parlarne. Alcune di loro hanno preferito scrivere a me, ammettendo di conservare dentro di sé segreti che riguardano malattie o aspetti della vita intima.

Nel tempo hai pensato all’adozione; anche di questo parli nel libro e infatti avevi incontrato anche Amici dei Bambini per esplorare questa possibilità…
Sì, infatti, accenno anche all’incontro con Ai.Bi. So che l’associazione è riuscita a far adottare alcuni bambini a coppie che avevano problemi di salute come me…Purtroppo anche questo percorso si è concluso con una delusione: per le persone affette da malattie neurodegenerative è difficile realizzare una adozione. Nel mio caso la patologia non è degenerata, per fortuna è stabile, ma dopo tanti anni di cure, tentativi, momenti difficili, ho preferito lavorare su me stessa, lavorare con mio marito come coppia e accettare che non abbiamo avuto figli non solo a causa della malattia ma per una serie di concause.

In questo caso insomma è la mamma, un aspirante genitore ad avere bisogni speciali…
È proprio così! Quando è la madre ad avere bisogni speciali è come se non fosse più in grado di essere madre.
Secondo gli operatori sociali un genitore malato fa ricadere sul bambino abbandonato un altro trauma. Ma questo concetto, implicitamente, è come se significasse: in quanto malato, il genitore è in grado di dare solo traumi, non amore, affetto, presenza….

Avete quindi deciso, come coppia, di non fare ulteriori tentativi alla luce del fatto che la tua patologia non è progredita?
Direi di sì, ormai non solo per ragioni di età ma anche perché abbiamo ingoiato troppi “no”, non vorremmo aggiungere ulteriore sofferenza a un percorso già complicato. Anche gli stessi medici mi avevano preparato a una strada in salita, se non impossibile, verso l’adozione.
Abbiamo provato a parlare con assistenti sociali ma non siamo andati oltre perché tutti ci hanno confermato quanto bassa sia la probabilità di avere un abbinamento.

Hai altri progetti per non estinguere questo filone narrativo?
Sì, vorrei realizzare un cortometraggio: la scrittura e la recitazione sono i linguaggi che conosco meglio. Questo libro può essere di per sé una base per una sceneggiatura; e poi vorrei recitare me stessa in questa storia.
Spero che il libro e, magari, in futuro, un film aiutino a creare il dibattito. La malattia è quasi un tabù quando si parla di genitorialità.

La tua storia, resa pubblica attraverso il tuo attivismo e i tuoi libri, hanno in qualche modo riguardato anche la relazione di coppia: come avete affrontato tutto questo?
È certamente stato faticoso ma per fortuna ho un rapporto molto solido con mio marito Roberto, che è il più forte tra i due. È riuscito a metabolizzare il dolore e mi sostiene sempre, perché siamo famiglia, comunque.
Io sono quella che ancora adesso ne soffre, è una ferita aperta che sanguina ma lui è bravo: cicatrizza.