Le Letture della XXXIII e ultima domenica del Tempo Ordinario ci parlano del tempo della fine, delle ultime cose. Realtà che spaventano l’essere umano che ormai preferisce non fermarsi a riflettere su di esse. Ma non le deve temere se si affida davvero a Gesù, Colui che ha donato la propria vita per garantire la Salvezza a chi ha scelto il bene. Scegliere il bene è anche accogliere un bambino abbandonato, che proprio come Gesù, ha deciso di donare sé stesso.
Dai brani del profeta Daniele, della Lettera agli Ebrei e del Vangelo di Marco trae spunto la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale di Ai.Bi. Amici dei Bambini e de La Pietra Scartata, per domenica 15 novembre.
PRIMA LETTURA Dal libro del profeta Daniele Dn 12,1-3
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei Eb 10,11-14.18
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
VANGELO Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,24-32
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Con questa domenica ci avviciniamo sensibilmente a un momento particolare e suggestivo dell’anno liturgico: la sua fine, prima dell’inizio di un nuovo anno, con l’Avvento e il Natale.
Questa domenica e ancor più la prossima, dedicata a Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo, ci parlano di un tempo molto particolare, affascinante e misterioso, che è il tempo della fine, delle ‘ultime’ cose.
Una volta – e ancora oggi! – li chiamavano i ‘Novissimi’, con una parola latina che non significa le cose più nuove, ma le cose ultime, definitive, le cose della fine: ‘morte, giudizio, inferno, paradiso’.
Oggi parliamo un po’ meno di questi eventi, non solo perché facciamo fatica a capirli, ma anche perché preferiamo non pensarci più di tanto.
Sono tutti eventi futuri, che ci stanno davanti, più o meno minacciosi.
Certo, ciascuno di noi deve vivere il presente, con intensità e forza, ma un presente senza memoria e senza attesa diventa un attimo da spremere, come per gustarne al massimo il sapore … Il rischio è che questo attimo, nel momento in cui lo vorremmo trattenere, proprio per questo, ci sfugga, perché ci è impossibile evitare che scappi via.
Così viviamo male il presente, in modo vorace e insieme, paradossalmente, sempre insoddisfatto. Non lo viviamo come un ‘presente’, cioè come un dono, un kairòs, un tempo opportuno, da vivere, con le grazie e i suoi drammi, la sua luce e le sue oscurità.
Questo ci è chiesto, proprio come cristiani: vivere il tempo presente, con le sue lacerazioni, le sue fatiche, le sue difficoltà, ma anche con le sue gioie e le sue possibilità, senza perdere – anzi lasciandocene illuminare! – la memoria delle parole sapienti di Gesù che, proprio oggi, ci parlano di quello che ci attende. Lui è quel sommo sacerdote che, a differenza dei sacerdoti dell’antica legge, si è presentato una volta per sempre, «con un’unica offerta» a celebrare nella sua vita«il culto» perfetto, «un solo sacrificio per i peccati».
Con questo suo atto di dono egli ci ha santificati, rendendoci «perfetti per sempre!».
Allora ascoltiamo con fiducia le sue parole. Ascoltiamole senza ansia, senza timore, senza paura, non certo per essere arroganti e presuntuosi, ma per affidarci a lui con confidenza infinita.
Nel Vangelo di oggi Gesù parla anzitutto della fine dell’universo, con immagini tipiche del linguaggio apocalittico:«il sole si oscurerà», «la luna» si spegnerà, «le stelle cadranno dal cielo». Questo nostro mondo, così bello, avrà una fine. Sarebbe stolto nascondercelo. Non è eterno.
Eppure, quel giorno Gesù lo caratterizza non tanto come fine, ma come il giorno del suo avvento:«allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». Il giorno in cui non ci saranno più né giorni, né notti, comincerà con il suo ‘ritorno’, nella pienezza della gloria di Dio, nella potenza della sua presenza, nella bellezza sfolgorante della sua luce.
Il Figlio dell’uomo apparirà nello splendore luminoso del Figlio di Dio, un Dio che ci ha amato tanto da donare la sua vita per noi!
Venendo, dice il Vangelo,«manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo».
In modo simile si esprime il profeta Daniele,quando parla dell’angelo Michele, «il gran principe», che«sorgerà», alla fine, a nome di Dio.
Dice ancora il profeta che quel «tempo di angoscia» sarà per gli eletti di Dio, il suo popolo, un tempo di grazia, di salvezza e di vita. L’immagine del profeta è che«quelli che dormono nella regione della polvere», cioè i morti, tornati alla polvere, «si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna».
Chi è stato saggio, nella vita, risplenderà«come le stelle» e la sua luce non avrà fine:«per sempre». Sarà come la luce di Dio nel cielo!
Ci sarà dunque una differenza, un discernimento, un ‘giudizio’. Ciascuno risponderà di sé, raccoglierà quanto avrà seminato. Chi avrà scelto il male patirà una vergogna eterna, comprenderà il male compiuto e ne soffrirà.
Questo sarà il dolore dell’inferno: il dolore e la vergogna di chi non ha amato, di chi si è lasciato amare dal Signore, rifiutando la sua grazia, la sua misericordia!
Questo pensiero, però, non ci deve spaventare, né turbare. Per questo non dobbiamo fuggirlo, come se ne dovessimo avere paura!
Gesù, nel Vangelo, dice che«non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga». Sì, perché colui che ci chiamerà alla fine dei tempi, davanti alla sua luce sfolgorante, avrà il volto dolcissimo di chi è morto per noi!
Gesù ha dato la sua vita perché noi potessimo avere la sua! E’ il suo dono, le sue «parole non passeranno». Sono parole stabili, perché la grazia e il perdono di Dio sono fedeli, non dipendono da un umore capriccioso.
Gesù sottolinea come sia importante la nostra libertà. La grazia e il perdono non sono dei dispositivi o dei meccanismi automatici, ma sono un appello, una chiamata, un dono che attende una nostra risposta, decisiva.
Questo significa il paradiso e l’inferno: che noi abbiamo la (tremenda) possibilità di rifiutare la grazia e la misericordia dell’Amore smisurato di Dio per noi! Ma questo ‘giudizio’ lasciamolo a lui, sempre!
Perciò Gesù ricorda la ‘parabola’ della «pianta di fico». Noi capiamo «che l’estate è vicina», quando vediamo che i suoi rami diventano teneri, dopo l’inverno, e quando vediamo che gli spuntano le foglie. Noi comprendiamo che arriva il caldo dell’estate dai segni della natura, che ci annuncia il bel tempo.
Così anche per Gesù: fin d’ora a noi è chiesto di vedere i segni della sua grazia, i segni della sua Presenza. A noi è chiesto di ascoltare le sue parole, non con paura, ma con fiducia.
Lui è venuto perché noi abbiamo la vita, e con abbondanza!
Dunque non abbiamo timore. Lasciamoci salvare da Gesù!
C’è un’ultima annotazione, nel Vangelo di oggi.
Stranamente Gesù dice che nessuno conosce l’ora del suo ritorno,«né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». Eppure, altrove, lui stesso dice che il Figlio conosce e riceve tutto dal Padre suo. Credo che dobbiamo interpretare proprio così questa parola di Gesù.
All’inizio di questo capitolo tredicesimo di Marco, in un passo che non abbiamo letto, alcuni discepoli chiedono, con forza, a Gesù dir rivelare loro il tempo della fine. E’ come se qui Gesù ci dicesse: non chiedetemelo, non è importante!
La fine è già cominciata. E’ il tempo della grazia, della salvezza, il tempo dell’amore sovrabbondante di Gesù.
A noi è chiesto di riconoscere questo amore, di vivere nel presente illuminati dall’attesa del suo ritorno, come tempo della grazia, per sempre!