Baby boxes: iniziativa a favore della vita o pratica deleteria?

Maria Grazia scrive:
Personalmente l’idea delle “baby box” non mi sembra una cosa negativa, anzi. Non tutte le donne che partoriscono sono in grado o vogliono fare le mamme! I bambini vengono lasciati in mani sicure.
Come si può partorire in anonimato, così una donna che non se la sente di tenere il bambino può scegliere anche quest’opzione, sicura che il bambino avrà subito le cure del caso e avrà la possibilità di trovare una famiglia in breve tempo. Secondo me è solo un’iniziativa a favore della vita.

Gentile Maria Grazia,

                                     recentemente Il Comitato ONU per i diritti dell’infanzia ha denunciato la prassi – sembra particolarmente diffusa in alcuni Paesi europei – della installazione delle culle termiche (baby box) destinate ad accogliere neonati abbandonati; secondo l’organismo internazionale, tali installazioni sarebbero ispirate ad una pratica che torna al passato (le ruote degli esposti) e inciterebbero all’abbandono piuttosto che prevenirlo, contravvenendo così alla Convenzione sui Diritti del Bambino. 

Anche in Italia negli scorsi anni diverse culle termiche sono state installate, quasi prevalentemente in prossimità di ospedali, con il chiaro e inequivocabile scopo di aumentare le opportunità di sicurezza per i neonati, esposti al rischio di essere comunque altrimenti abbandonati. Spesso apprendiamo, sconcertati, le notizie di neonati ritrovati in cassonetti dei rifiuti, in buste di plastica lungo le strade, in locali pubblici: talvolta il fortuito ritrovamento consente di salvare loro la vita, altre volte troppo tardi se ne deve solo costatare la morte. Al contempo non conosciamo il reale numero dei neonati o dei bambini abbandonati e mai più ritrovati.

Questa consapevolezza, unita alla preoccupazione per le troppe donne spinte o ridotte ai margini della società, alle quali neppure il parto in anonimato pare possibile e raggiungibile, ci autorizza a pensare che la cosiddette culle termiche siano un ulteriore presidio a tutela e protezione della vita dei neonati, oltre ad essere anche una residuale ma preziosa opportunità per quelle madri che, avendo dato alla luce un bambino, talvolta coraggiosamente e in solitudine, non solo non sono nelle condizioni di crescerlo, ma neppure di assicurargli protezione e cure sin dai primi giorni.

Più che incentivare l’abbandono, mi pare si tratti di assicurare un abbandono sicuro e protetto, benché non auspicato: non si suggerisce dunque l’abbandono, si previene un suo possibile infausto esito.

Certo tale strumento non deve essere alternativo o posto in sostituzione di quelle necessarie iniziative volte ad assicurare a tutte le donne la possibilità di vivere al meglio la propria maternità, custodendo la vita che hanno generato e alla quale desiderano donare la speranza di un futuro: per tutte loro, a prescindere dalla loro condizione sociale e giuridica, devono essere garantite attenzioni e tutele, informandole sulle molteplici opportunità, sottraendole al rischio di un parto clandestino o di un abbandono non voluto. Tuttavia, qualora l’abbandono si presentasse a loro ineluttabile e la sua modalità fosse potenzialmente letale, non può mancare un’ultima chance, una possibile remota alternativa: in questo le culle segrete, più che rigenerare il fenomeno dell’abbandono, possono costituire, insieme ad altri dispositivi, la risposta della società e delle istituzioni al diritto alla vita, che deve essere protetta anche in situazioni o condizioni estreme; alcune madri hanno anche così avuto la possibilità di proteggere i propri figli dalle intenzioni violente di altri soggetti, cui non sono da sole state in grado di opporsi.

Quella madre che ha generato una vita deve sempre poter sperare, per il frutto del suo amore, un futuro possibile, malgrado sia nella condizione di non poterglielo garantire; non sempre, ma l’abbandono è talvolta un grande dono, spesso misconosciuto e frainteso, certo non per questo meno vero: è infatti la positiva storia di diverse adozioni a testimoniarlo, dove l’accoglienza ha saputo raccogliere la vita e la speranza affidata in un abbandono.  

Gianmario Fogliazza, Centro Studi di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini