Bambini in carcere: una legge assurda. Griffini (Ai.Bi.) “Ancora una volta i figli pagano le colpe dei loro genitori” 

Ha sconvolto tutt’Italia la notizia della madre georgiana che, detenuta nelle carceri capitoline, ha scaraventato dalle scale i suoi due figli. Le istituzioni, la società civile e la politica tornano a litigare su un argomento “in pausa” da lungo tempo…

Sono deceduti, l’una sul colpo e l’altro dopo giorni di agonia, i 2 figli della detenuta georgiana, 33 anni, reclusa a Rebibbia per spaccio di droga dal 28 agosto 2018. In un tranquillo 19 settembre,  si è consumata la tragedia nelle mura di Rebibbia che, a detta della donna, ha reso “liberi” i suoi figli.

Vittime di una pena di cui non sono responsabili, i figli dei detenuti crescono in cella assumendosi una colpa di cui non sanno nulla perché, si legge sul protocollo < Carta dei figli dei genitori detenuti > : il mantenimento della relazione familiare va assunta come un diritto fondamentale del bambino, a cui va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e come un dovere/diritto del genitore di assumersi la responsabilità e continuità del proprio ruolo”.

Immediata la reazione di Marco Griffini –  presidente di Ai.Bi. – “Un pugno al cuore! Fa male, molto male leggere ciò che è successo. Qui ogni genitore si senta chiamato in causa: in quella cella non c’erano due bambini sconosciuti, ma i nostri figli. Ma come si può permettere che ancora una volta due vittime innocenti paghino e questa volta con la loro vita le colpe dei loro genitori! Va totalmente cambiata la cultura adultocentrica di cui è impregnata la nostra società  incapace di comprendere oramai quali siano i veri diritti dei bambini in difficoltà familiare. Questa legge va assolutamente cambiata!” 

Severo anche il commento della Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, che tuona: “Bisogna aprire quanto prima altre case famiglia protette: basta bambini in carcere. Sono troppo poche in Italia le strutture per madri detenute con figli piccoli: solo cinque gli istituti a custodia attenuata (Icam) e addirittura solo due le case famiglia protette. Non possiamo attendere che si ripetano episodi drammatici come quello accaduto ieri a Rebibbia, né possiamo accettare l’idea che dei bambini continuino a vivere dietro le sbarre, in ambienti che non sono adatti a una crescita sana e a un armonioso sviluppo”.

Al coro di proteste si unisce  il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC) che raccomanda la chiusura dei nidi presso gli istituti penitenziari. Eppure, scrive Vita, sono 62 i bimbi, con 52 mamme, attualmente presenti nei penitenziari italiani: c’è chi sostiene quanto sia fondamentale la continuità affettiva per la crescita dei bambini e chi lo considera disumano, perché costringe i più piccoli ad una vita reclusa per crimini che non hanno commesso.