Bibbiano. Una cultura anti-famiglia alla base di certe scelte? Le parole del vescovo di Reggio Emilia

L’intervista ad Avvenire. Ma ci sono “decine e decine di esperienze positive che devono esser custodite e sostenute dallo Stato”

Salvo restando le responsabilità dei singoli, oggi esiste una cultura molto invadente che vede nella famiglia un luogo potenzialmente oppressivo e perciò da colpire”. Ad affermarlo, con evidente riferimento ai fatti di Bibbiano, non è un politico, ma un vescovo. Si tratta di Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, che ha sostenuto come nella terribile vicenda emiliana si evidenzi anche un certo retroterra ideologico.

Il prelato, in un’intervista concessa a Luciano Moia su Avvenire, ha affermato che “per quanto riguarda l’inchiesta giudiziaria sui casi dei bambini sottratti alle famiglie della Val d’Enza e sulle accuse di abuso ai loro genitori mi rimetto completamente alla magistratura, di cui ho fiducia”, ribadendo però che non si può che “rispondere affermativamente” all’ipotesi della presenza, all’interno delle istituzioni, di una cultura anti-famiglia.

“Per ‘salvare’ un bambino – ha proseguito Camisasca – occorre fare di tutto per ‘salvare’ la sua famiglia. Essa è la custode di diritti e doveri primari che nessuno stato può ‘normalmente’ avocare a sé. Indebolendo la famiglia si indeboliscono tutte le forme di aggregazione sociale in un paese”.

Ma che cosa genera questo retroterra culturale? Si tratta di statalismo, certo, ma, come afferma anche Camisasca, un ruolo lo hanno anche i gruppi di pressione LGBT e il loro portato culturale. “Purtroppo, in taluni casi – ha infatti affermato il vescovo – questa cultura partecipa di questo attacco alla famiglia, che vede come una contraddizione ai diritti dei singoli. Una famiglia vera invece custodisce i diritti di tutti e i doveri di tutti qualunque siano gli orientamenti religiosi, culturali e sessuali dei propri figli”.

Tuttavia l’affido è un istituto che va tutelato. “Indubbio – ha al proposito detto ancora Camisasca – che oggi esistano delle famiglie debolissime e dei ragazzi perciò che difficilmente potrebbero trovare in esse l’ambito delle loro crescita. Penso a famiglie in cui i genitori sono tossicodipendenti, in cui la madre è stata abbandonata, in cui esiste una povertà materiale ed educativa molto radicata, in cui esiste una forte esperienza delittuosa… Non sono perciò assolutamente contrario all’affido, alle case famiglia. Conosco decine e decine di esperienze positive che devono esser custodite e sostenute dallo Stato”.