Cassazione. L’ utero in affitto in Italia è sempre reato anche se gratis

Anche se la madre naturale si presta a titolo gratuito a concepire e partorire un figlio per altri, rischia comunque fino a tre anni di reclusione

Quanto costa una “vita illegale?” Trentamila euro e  una condanna in primo grado che include tre anni di reclusione.
Una  dura condanna all’utero in affitto quella espressa dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 2173, depositata lo scorso 17 gennaio) che ha condannato una coppia, insieme con la madre naturale del bambino, per il reato di “affidamento a terzi di un minore, in violazione dell’articolo 71 della legge 184/1983, intitolata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori“.

La Corte, al ricorso della partoriente, che asseriva di non aver partecipato alla falsa adozione e di non aver ricevuto nulla come compenso, ha ricordato che la fattispecie di delitto “non richiede, per colui che affida il minore, la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso”; è inoltre proprio la legge 184/1983 che “punisce con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definivo un minore”.

La legge 184/1983 che vieta esplicitamente la comunemente nota pratica dell’utero in affitto, conferma che l’ordinamento giuridico italiano prevede inoltre un aggravamento della pena nel caso in cui questa stessa pratica sia commesso da un suo genitore.

In altre parole, la vita non è una merce.