Corpus Domini oggi: portare il corpo di Gesù nelle strade del mondo

corpus dominiIn occasione della festività del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù, comunemente nota come Corpus Domini, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai testi  del libro della Genesi (Gen 14,18-20), della Prima Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 11,23-26) e del Vangelo secondo Luca (Lc 9,11b-17)

 

La solennità del Corpus Domini è una festa che ci dovrebbe essere particolarmente cara.

È la festa del Corpo e del Sangue di Gesù, ma è anche la festa della Chiesa, perché noi siamo il corpo e il sangue di Gesù nella storia di questa nostra umanità! È l’Eucarestia che ci fa Chiesa, proprio mentre la Chiesa celebra l’Eucarestia! Nell’Eucarestia noi ci lasciamo convocare da Gesù, che si dona a noi, perché noi diventiamo il suo corpo sulle strade del mondo!

San Paolo, nella prima lettera ai Corinti, che è un testo antichissimo, più antico dei Vangeli stessi, ricorda come già le prime comunità ‘celebrassero’ quello che Gesù aveva compiuto, «nella notte in cui veniva tradito». La memoria della cena è stato il ‘centro’ e il culmine attorno a cui si radunava la comunità cristiana, ritrovando in quella ‘Memoria’ la propria stessa identità: è la memoria del dono di sé, da parte di Gesù, dono di amore e di grazia sovrabbondanti.

L’Eucarestia è il corpo proprio di Gesù, donato fino alla morte (nel «sangue»).

Quando noi celebriamo questo dono, noi annunciamo, come dice Paolo, «la morte del Signore, finché egli venga». Senza sosta, senza fine, fino a quando il Signore tornerà, noi nell’Eucarestia celebriamo questa alleanza definitiva e perenne tra Dio e l’umanità, secondo l’ordine – fortissimo! – di Gesù: «fate questo, ogni volta che ne bevete [e mangiate], in memoria di me».

Ma non è una celebrazione triste, non è un rito in cui ci troviamo a ricordare un morto. È piuttosto un memoriale di ‘passaggio’ dalla morte alla vita.

Dunque l’Eucarestia è un rito di gioia, di gratitudine, non certo di tristezza, di lutto e di compianto.

La prima lettura suggerisce di vedere, nella Cena di Gesù, il compimento di quanto era stato ‘prefigurato’ da «Melchìsedek, re di Salem», cioè Gerusalemme. Questo re, che «era sacerdote del Dio altissimo», aveva benedetto Abramo, offrendo pane e vino.

Queste offerte, accompagnate dalle parole di benedizione, anticipano quello che farà Gesù stesso. La benedizione del Dio altissimo, «creatore del cielo e della terra», trova compimento proprio nell’Ultima Cena di Gesù. In essa si realizza la pienezza del dono di Dio, la pienezza di ogni sua promessa!

Gesù stesso, ancor prima dell’Ultima Cena, aveva prefigurato e anticipato questo ‘dono’ di sé. Tutti i sinottici, e in più anche Giovanni, raccontano l’episodio della prodigiosa moltiplicazione dei pani. Oggi ne abbiamo ascoltato la narrazione di Luca. È un testo molto bello, profondamente simbolico e cioè ricco di significati che vanno al di là dei gesti e delle parole, perché questi rimandano ad altro!

Le folle sono strette attorno a Gesù, che parla loro «del regno di Dio» e che, oltre alle parole, annuncia il Regno nei gesti di cura nei confronti dei malati e dei sofferenti.

Già qui si rivela in anticipo, tutto il senso di ciò che accadrà poco dopo …

Così si fa sera: «il giorno cominciava a declinare», dice il Vangelo di Luca. Sono delle parole che alludono alla scena dei discepoli di Emmaus, alla loro invocazione nei confronti di Gesù!

In questo brano, qui, sono i Dodici che, realisticamente, si preoccupano di tutta quella folla, che non avrebbe di che dormire e di che mangiare.

«Congeda la folla», gli dicono. “Lasciali andare” o “mandali via” «nei villaggi e nelle campagne dei dintorni».  I Dodici fanno quello che possono, quello che è prevedibile secondo la logica del buon senso: «qui siamo in una zona deserta».

Questo particolare, però, ha anche un altro significato.

Il deserto, e le folle che seguono Gesù nel deserto alludono al deserto dell’Esodo, al popolo di Israele che attraversa un luogo inospitale, prima di poter giungere a godere del compimento della promessa.

Il deserto è un luogo di fame e di sete, un luogo arido e difficile. È un tempo di fatica e di prova, dove tutto è ridotto all’essenziale e addirittura manca quello che è necessario per vivere. È un tempo di indigenza.

E davvero così, soprattutto in certi momenti difficili, ci appare la vita.

Alle parole dei discepoli Gesù risponde in modo davvero ‘strano’.

Lo si capirà dopo, ma lui aveva già in mente altro: «Voi stessi date loro da mangiare».  Una parola formidabile, a doppio taglio.

Per un verso sembra chiedere ai discepoli qualcosa di impossibile, al limite della ‘presa in giro’. Così i discepoli rispondono a Gesù: abbiamo così poco, solo «cinque pani e due pesci!» … e però aggiungono, con generosità e con un atteggiamento di grande riverenza e rispetto per Gesù: «a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».

Erano cinquemila uomini! I Dodici sono davanti a un compito impossibile.

Con tutta la buona volontà, la parola di Gesù sembra chiedere loro un impegno al di là delle forze.

Per un altro verso però, la parola di Gesù potrebbe essere interpretata come una promessa, per quanto velata.

Infatti, poco dopo, in modo meraviglioso, questa parola si rivelerà essere proprio una promessa. Sarà Gesù, con estrema naturalezza, a dare ai discepoli il pane e i pesci, perché poi siano loro a distribuirli alla folla.

Questa parola dice bene il paradosso dei discepoli e della Chiesa tutta.

Noi siamo chiamati a dare agli altri, in questo nostro mondo di oggi, che spesso vive lontano da Dio, come in un deserto, siamo chiamati a dare ciò che non viene da noi e che tuttavia non avviene senza di noi, perché deve passare attraverso le nostre mani, il nostro lavoro, il nostro impegno.

Nell’opera della Chiesa risplende l’opera stessa di Dio, la sua grazia sovrabbondante.

Questo è quanto accade in modo superlativo nell’Eucarestia, dove il Pane e la Parola vengono a sfamare e a saziare il nostro desiderio di felicità e di compimento.

Gesù, attraverso i discepoli, fa sedere la folla a gruppi di cinquanta. Poi compie i gesti che lui stesso farà nell’Ultima sua Cena: prende il pane, con i pesci, e cioè non parte dal nulla. Il ‘miracolo’ lo compie a partire dal ‘poco’ che hanno i discepoli, per farlo diventare il ‘tutto’ sovrabbondante…

Alza «gli occhi al cielo» come a guardare al Padre e quasi chiedendo anche a noi di non dimenticare che in quel gesto suo c’è di mezzo Dio, ne va di Dio!

Poi recita «la benedizione», ringraziando il Padre e riconoscendo in quel pane il dono suo!

Poi, ancora, spezza il pane e i pesci. Quel gesto lì, lo spezzare, è potentissimo. Anticipa il dono di sé, della sua vita ‘spezzata’, che però diventa ‘condiviso’ e ‘moltiplicato’, perché tutti possano godere di questo dono, che infatti viene distribuito alla folla.

È un dono/grazia di cui tutti si saziano perché ne avanza, con sovrabbondanza. Non certo perché Dio ami o chieda di sprecare, ma perché in questo spreco c’è l’eccesso di quell’amore che sazia la nostra fame di felicità.