Corte di Strasburgo: a rischio il “no” italiano alla maternità surrogata e la disciplina dell’adozione internazionale

corte strasburgoChe futuro avrà la libertà di uno Stato di sanzionare una pratica riconducibile a una forma di abuso e, talvolta, di vera e propria compravendita di minori? Lo stabilirà presto la Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sulla decisione dell’Italia di impugnare una sentenza relativa al caso di due coniugi italiani ricorsi alla maternità surrogata all’estero a cui il figlio così ottenuto è stato tolto e dato in adozione a un’altra coppia.

Questi i fatti. Dopo numerosi tentativi di procreazione medicalmente assistita, tutti falliti, i due coniugi decidono di affidarsi alla pratica dell’utero in affitto, vietata in Italia ma non in altri Paesi. Si recano dunque all’estero, dove il bambino nato dalla madre surrogata viene iscritto come figlio della coppia italiana. Al rientro nel nostro Paese, però, i genitori committenti non ottengono la trascrizione del certificato di nascita e sono indagati per vari reati, tra cui falso e violazione delle norme sull’adozione internazionale. Vengono presto accertati il ricorso all’utero in affitto e la conseguente insussistenza del legame genetico tra il neonato e i suoi presunti genitori. Il giudice italiano decide così di allontanare da loro il piccolo, che nel frattempo ha 8 mesi, e di darlo prima in affido ai servizi sociali e poi in adozione a un’altra coppia.

Ma i genitori committenti non ci stanno. Su loro istanza, il 27 gennaio, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Attenzione, però! Con questa sentenza, i giudici europei hanno affermato che l’instaurazione “di fatto” di un rapporto tra i committenti e il bambino sia sufficiente affinché le autorità nazionali debbano riconoscere la sussistenza di una “vita familiare” e quindi di un diritto al rispetto di questa. Ma la Corte di Strasburgo non ha in alcun modo inteso indurre la riconsegna del piccolo alla coppia italiana. E questo in virtù dei legami affettivi che egli aveva ormai maturato con la nuova famiglia adottiva. Inoltre, i giudici europei hanno confermato che la decisione dell’Italia di vietare e sanzionare penalmente la surrogazione di maternità rientra nel “margine di apprezzamento” del singolo Stato.

A parere del nostro Paese, però, in questa sentenza persiste una contraddizione. Il riconoscimento di  un rapporto di filiazione “di fatto” tra la coppia committente e il bambino smentirebbe il divieto italiano di maternità surrogata, in quanto verrebbe sostanzialmente imposta una forma di riconoscimento ex post dell’utero in affitto anche agli Stati che l’hanno vietato.

A rischio non sarebbe solo il divieto alla surrogazione di maternità, ma anche l’intera disciplina interna delle adozioni internazionali. Questa, infatti, impedendo agli aspiranti adottanti di prendere contatto – diretto o tramite intermediari non qualificati – con i genitori del minore straniero, ha inteso contrastare i casi di abusi e compravendita di minori.

La decisione contraddittoria della Corte europea si baserebbe su un principio “forte”: quello secondo il quale un bambino non dovrebbe mai patire le conseguenze di un illecito commesso dagli adulti. In questo caso, il ricorso all’utero in affitto. Insomma, non si può strumentalizzare un bambino solo per una finalità sanzionatoria e repressiva.

Ma la decisione dei giudici italiani di allontanare il bambino dalla coppia committente non era finalizzata solo a sanzionare questi ultimi, senza alcuna considerazione del superiore interesse del minore. Quanto disposto dai giudici nostrani, infatti, è stato motivato proprio dalla volontà di fare anzitutto il bene del bambino. Nel comportamento complessivo della coppia, infatti, i giudici hanno ravvisato il fatto che il piccolo sia stato percepito come semplice oggetto di un “desiderio narcisistico”. Tanto più che, in precedenza, i due coniugi erano stati dichiarati idonei ad adottare, ma solo minori “non in tenera età”. Nessuna possibilità, quindi, per i due di farsi carico della responsabilità genitoriale di un bambino. Non è pertanto accettabile che i giudici di Strasburgo emettano un giudizio positivo sulle capacità affettive ed educative della coppia già valutate negativamente dai giudici italiani.

Alla luce di tutto questo, se Strasburgo confermasse la propria sentenza del 27 gennaio, la sua decisione lascerebbe decisamente perplessi. Una Corte che si chiama “dei diritti dell’uomo” non può non affermare la convinta e rigorosa contrarietà ai principi della Convenzione della pratica di surrogazione di maternità. E non può pronunciarsi in modo contraddittorio, soprattutto su una questione così delicata.

 

Fonte: L’Osservatore Romano