Se i decreti vincolati diventano dei “ricatti” per gli Enti autorizzati all’Adozione Internazionale

Il Decerto d’idoneità all’adozione viene emesso anni prima dell’effettivo abbinamento. Porre vincoli stretti “a priori” è una limitazione che non tiene conto di chi meglio conosce la situazione del minore e della famiglia: il Paese di provenienza del bambino e l’Ente autorizzato incaricato

Nella orami lunghissima attività quale Ente Autorizzato all’adozione internazionale, Ai.Bi. ha maturato un’esperienza notevole, soprattutto in materia di situazioni particolari che fuoriescono dalla procedura “canonica” dell’adozione.

Ogni adozione è un percorso a sé

Nella propria attività, Ai.Bi. ha potuto leggere migliaia di decreti di idoneità delle coppia (atto imprescindibile affinché la coppia possa conferire mandato all’Ente e iniziare la pratica adottiva): dai primi decreti “liberi”, cioè privi di indicazioni limitative, a quelli successivi, in cui le disposizioni erano assai tassative, sino ai casi di decreti eccessivamente restrittivi e in alcuni casi discriminatori, in palese contrasto non solo con la legge speciale in materia di adozione ma anche con la stessa Carta Costituzionale. In ultimo, non sono mancati i decreti vincolati aggravati da una malcelata perifrasi ricattatoria.
Ai.Bi. ha sempre avuto una posizione contraria a ricevere dei decreti in cui venivano posti dei vincoli per l’adozione, unicamente per ragioni di maggiore tutela del minore. L’abbinamento tra il minore e la coppia all’interno del procedimento adottivo internazionale, infatti, viene effettuato con l’intervento del Paese di origine del minore: si tratta di un incontro tra due bisogni di cui hanno una conoscenza molto più approfondita due soggetti che non sono il Tribunale per i Minori italiano (che emette i decreti): l’autorità straniera specificamente preposta all’adozione e in diretto contatto con gli istituti (precisiamo che i TM italiani non hanno competenza specifica in ambito adottivo e nemmeno la recente modifica legislativa ha previsto un organo giuridico ad hoc per l’adozione) e l’Ente Autorizzato.
Compito dell’Ente, legislativamente previsto dalla L. 184/83, è anche quello di accompagnare la coppia in tutto il processo adottivo che inizia proprio con il conferimento dell’incarico.
La fase precedente all’avvio della procedura internazionale, unica fase giudiziale (unitamente al riconoscimento della sentenza straniera), è necessaria perché la coppia ottenga l’autorizzazione ad avviare la pratica adottiva, e si concretizza in una sorta di prima valutazione, molto sommaria e generica, ma soprattutto molto in anticipo su quello che sarà la reale situazione della coppia (e del minore) all’atto dell’abbinamento. È l’Ente che conosce approfonditamente la coppia, che la incontra, che redige delle relazioni attraverso le proprie psicologhe, che invia periodicamente non solo la documentazione amministrativa necessaria all’iter burocratico ma anche le relazioni sullo stato della coppia, che dialoga con l’autorità straniera… Per questo nessuno meglio dell’ente conosce la coppia, così come nessuno meglio dell’autorità adottiva straniera conosce i minori adottabili. La proposta di abbinamento perviene sempre (o nella maggior parte dei casi) dall’autorità straniera e l’Ente la condivide e discute con la coppia.

I decreti vincolati adozione internazionale vengono emessi anni prima dell’abbinamento

E qui c’è un primo problema rispetto ai decreti vincolati: la proposta di abbinamento straniera si basa sulle relazioni ricevute durante la procedura adottiva, ciò che fa fede per l’autorità straniera non è il decreto, ma bensì le relazioni sulla coppia perché sono necessariamente più approfondite, più specifiche, più aggiornate e soprattutto più recenti del decreto.
Può accadere, come è accaduto, che la proposta ricevuta non fosse in linea con quanto disposto nel decreto di idoneità, cioè riguardasse un minore che non “rispettasse i vincoli” del decreto. In questo caso l’Ente dovrebbe indirizzare la coppia verso un rifiuto (con dannose conseguenze per la coppia, per il minore e anche per l’Ente nei confronti del Paese di origine), pur sapendo che l’abbinamento è stato individuato sulla base di una maggior quantità di informazioni sulla coppia e di una conoscenza approfondita del minore, perché l’eventuale sentenza adottiva straniera rischierebbe, in modo quasi certo, di non essere riconosciuta dal TM italiano, rendendo vana l’intera procedura adottiva.
Non si può non rimanere sgomenti di fronte ad alcuni recenti decreti (v. TM Palermo – settembre 2022) in cui non solo vengono posti dei limiti, ma vengono giustificati da rimandi giurisprudenziali e da finalità di esclusione di fallimenti adottivi. Una motivazione del tutto superflua, visto che è d’uopo realizzare un’adozione nel migliore dei modi preservando la nuova famiglia da qualsiasi rischio di sgretolamento. Tuttavia, la formalizzazione del concetto assume la forma di un monito che potrebbe comportare non pochi problemi per gli Enti Autorizzati.
Disporre che l’adozione debba essere veicolata entro criteri aprioristicamente determinati per limitare il fallimento adottivo equivale a dire in termini concreti che se l’adozione non è subordinata ai vincoli indicati, un futuro fallimento adottivo è da imputare, senza alcuna indagine, all’adozione stessa e, di conseguenza, a chi l’adozione l’ha realizzata, quindi all’Ente Autorizzato.
Mettere in relazione dei criteri prestabiliti (dedotti da una relazione dei servizi sociali formulata a distanza di uno o due anni dall’abbinamento) con un evento funesto, ipotizzabile, ma anche non realizzabile, che potrebbe avvenire a distanza di anni dall’adozione, per svariati motivi, anche imprevedibili, è di per sé porre in capo all’Ente una responsabilità (con gravi conseguenza risarcitorie) della quale ne è assolutamente esente e appare una formula ricattatoria per giustificare una decisione priva di motivazioni adeguate.