Come è scoppiata questa guerra nelle adozioni internazionali? Sotto accusa l’incapacità di Silvia Della Monica a gestire la crisi del Congo

sede caiDove è cominciata questa “guerra” che sta lacerando il mondo dell’adozione internazionale in Italia? Andando a ricostruire il recente passato la risposta appare quanto mai chiara: dalla pessima gestione della crisi relativa alle adozioni nella Repubblica Democratica del Congo da parte di Silvia Della Monica, vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali. La quale, oltre a riservare alle famiglie interessate solo anni di disinformazione e silenzio, ha anche rifiutato la collaborazione con gli enti per una migliore gestione della crisi. Generando così un clima di odio che ha visto fronteggiarsi famiglie contro famiglie, enti contro enti, famiglie ed enti contro la Cai. Per arrivare alla “ciliegina sulla torta”: la campagna diffamatoria contro Ai.Bi. attraverso gli articoli pubblicati su “L’Espresso” in queste settimane. 

Ma entriamo nei particolari e vediamo come sono andate le cose.

 

Era il 6 marzo 2014. Pochi giorni prima Silvia Della Monica si era insediata come vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali. Nel frattempo, 151 bambini della Repubblica Democratica del Congo, regolarmente adottati da coppie italiane, erano bloccati nel loro Paese di origine che, il 25 settembre precedente, aveva avviato una moratoria sulle adozioni internazionali, fermando di fatto tutti gli iter adottivi in corso. Centinaia di famiglie stavano vivendo un incubo. A fronte di una situazione “di precarietà e di estrema incertezza informativa”, gli 8 enti autorizzati che seguivano le procedure adottive dei minori congolesi scrivono alla Cai nel tentativo di fare “fronte comune” nella gestione dell’emergenza. Nello specifico, inviano una lettera alla nostra Autorità Centrale, chiedendo “la convocazione d’urgenza di un tavolo di coordinamento degli Enti” e di “essere ricevuti per fare il punto della situazione e per coordinare una buona comunicazione alle centinaia di coppie di attesa”, oltre che di “essere aggiornati riguardo la visita della delegazione congolese in Italia”.  Gli enti quindi cercano di coordinarsi con la Cai per stabilire come gestire le informazioni alle famiglie e i contatti con le autorità, con quale periodicità dare aggiornamenti, come organizzare le visite dei genitori nel Paese africano.

Proprio come accaduto in passato per analoghe crisi. Come quella del Nepal, dove, a partire dal 2007, Cai, enti e famiglie dovettero affrontare il sospetto che una parte dei minori abbinati alle coppie non fosse in realtà adottabile. O quella della Cambogia, che nel 2009 bloccò le procedure di adozione in corso, in vista della revisione della legge locale. In entrambi i casi, l’unità di azione tra enti e Cai portò alla condivisione di informazioni e a una gestione della vicenda sempre al fianco delle famiglie. Il massimo esempio, a questo proposito, si è avuto nel caso della crisi avvenuta con le adozioni in Ucraina tra il 2005 e il 2007. In quel caso l’emergenza coinvolse più di 700 coppie. Ma la brillante collaborazione tra enti e Cai portò a un’eccellente risoluzione della vicenda.

Nel recente caso della Repubblica Democratica del Congo, invece, la Commissione sceglie un’altra strada. Silvia Della Monica, nella sua doppia veste di presidente e vicepresidente, decide di non rispondere. Nello sbigottimento generale, enti e famiglie assistono a una politica del silenzio e della non collaborazione. Della Monica concentra tutto nelle sue mani, senza lasciare spazio al dialogo. Ispirandosi forse alla monarchia assoluta di Luigi XIV“L’État c’est moi”, diceva il Re Sole.

L’esasperazione aumenta a ogni atto con cui la Cai rafforza la sua strategia dello scontro. Nell’autunno del 2014 – a un anno dal blocco – la Commissione interviene per diffidare gli enti dall’assumere iniziative individuali non preventivamente concordate con la Cai. Alle famiglie, Della Monica dà solo generiche rassicurazioni, diffidando anch’esse dall’intraprendere iniziative spontanee, anche a livello mediatico. Indicazioni, queste, ripetute anche nel corso del 2015. E aggiungendo poi un’ulteriore beffa. Molte coppie hanno raccontato che la Cai avrebbe mostrato loro delle cartelline rosa in cui – stando a quanto sarebbe stato detto loro – erano contenuti i documenti relativi al loro iter adottivo. Invece, in quelle cartelline apparentemente tranquillizzanti, ci sarebbero stati errori di procedura. Nel frattempo i documenti, quelli necessari, non venivano preparati, con conseguenti ulteriori perdite di tempo. Nell’agosto 2015, poi, la Cai interviene con un comunicato sul suo sito per stigmatizzare l’iniziativa mediatica di alcuni genitori intrapresa nel tentativo di sbloccare la situazione.

A che cosa ha portato questa politica del muro contro muro scelta dalla Cai? Solo a un ritardo nella soluzione della crisi e soprattutto all’instaurarsi di un clima di odio sfrenato. Famiglie pro-Cai contro famiglie critiche nei confronti della Commissione, enti contro enti, coppie ed enti contro Cai. E ad avere – ora che la vicenda si è finalmente conclusa, dopo quasi 3 anni di attese, disinformazioni, scontri – un mondo dell’adozione internazionale lacerato. E il trattamento riservato ai genitori in occasione dell’arrivo degli ultimi 3 gruppi di bambini dal Congo, con coppie avvisate all’ultimo momento e costrette a incontrare i loro figli in caserma, non può fare altro che esasperare ulteriormente il clima di tensione.