Fame di Mamma. Che cosa fa un bambino, alle 3 di notte? (2)

Prosegue, in questo secondo capitolo, la storia di Mostafa. “Così quella notte di qualche anno fa Mostafa si alza alle 3 di notte, come d’abitudine, per andare al lavoro nei campi… e invece…”

Che cosa fa un bambino, alle 3 di notte?
La risposta è semplice: sta dormendo da almeno 5 ore, probabilmente sta sognando, si sta riposando prima di alzarsi, magari alle 7, e poi andare a scuola, dopo aver fatto colazione.
Il momento della colazione, alle 7 del mattino, è qualcosa che Mostafa, da piccolo, aveva in comune con la gran parte dei bambini del mondo.
Ma alle 7, lui e i fratelli, erano già in piedi da 4 ore per iniziare il lavoro, nei campi o con gli animali.
Nei mesi in cui la scuola era aperta, dalle 8 fino a ora di pranzo, Mostafa andava a scuola, ma il programma notturno e pomeridiano di lavoro, fino alle 19, rimaneva invariato. La classe di Mostafa non aveva computer: c’era solo un insegnante, una lavagna e molti banchi per accogliere fino a 50-55 alunni e alunne. Le materie erano poche rispetto a quelle che vengono insegnate in Italia e c’erano differenze tra scuole di campagna e di città. “Non si studiava molto, a dire il vero – ricorda Mostafa – ma se per caso non avevi studiato o eri stanco per il lavoro venivi punito con frustate alle mani“.
Nei mesi in cui la scuola era chiusa, le giornate di Mostafa erano scandite da lavoro notturno, pause per colazione e pranzo, lavoro diurno e pomeridiano, fino a sera. E poi si ricominciava da capo.
I lunghi viaggi partono anche da qui: da un paese – come l’Egitto e molti altri –  in cui anche i bambini contribuiscono al sostentamento della famiglia spesso numerosa come quella di Mostafa; dal pensiero che forse migliorare la propria vita è possibile; dal sogno di poter lavorare e mantenere la propria famiglia senza rischiare di farsi male nei campi con gli attrezzi da lavoro.
“Gli incidenti erano all’ordine del giorno ed era nostra abitudine prenderci cura l’uno dell’altro – dice – Io e i fratelli Omar, Ahmed e Abdalah  eravamo talmente bravi che abbiamo iniziato a lavorare anche per altri proprietari terrieri. Facevamo tutto da soli, dalla semina alla raccolta. Noi tutti eravamo sempre insieme, come fossimo un unico corpo”.
Il viaggio, soprattutto se è lungo, inizia nel cuore e poi nella mente. All’inizio la destinazione è solo un nome. Poi diventa un punto sulla cartina geografica. Poi i sogni lasciano spazio alla ragione e così ti sembra che tutto, nella tua vita, si stia orientando verso la realizzazione di quel desiderio.
“Quando avevo 12 anni, alcuni amici più grandi di me raccontavano di quanto fosse bella l’Italia – ricorda Mostafa – ed io la immaginavo, la pensavo bellissima e ricca. Ho così deciso di partire”.
Cosa fanno di solito i ragazzini a 12 anni? La mattina vanno a scuola, nel pomeriggio dopo lo studio giocano a pallone, tifano per la squadra del cuore, magari hanno qualche gioco elettronico; d’estate vanno al mare, la sera guardano un film in tv.
Mostafa a 12 anni lavorava già da diversi anni. Si alzava alle 3 di notte da troppo tempo. Sapeva leggere e scrivere ma certo non aveva occasioni di svago e divertimento come possono avere i nostri figli.
Era già affaticato Mostafa, a 12 anni. Voleva cambiare vita.
“Un giorno ho detto a mio padre del mio desiderio, che volevo andarmene, venire in Italia ma lui si è opposto perché diceva che ero troppo piccolo. Ma io ero stanco della mia vita. E così non gli ho obbedito”.
I lunghi viaggi cominciano da un nome, da un sogno, da un desiderio. Ma arriva il momento in cui si dice: è ora. Così quella notte di qualche anno fa Mostafa si alza alle 3 di notte, come d’abitudine, per andare al lavoro nei campi.
“E invece sono scappato. Mi sono incamminato, da solo, fino ad Alessandria d’Egitto”.

(2 Continua) 

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