Genitore 1 e genitore 2? Ma la mamma è sempre la mamma!

Una sentenza del tribunale accetta il ricorso di due donne che chiedevano di inserire la dicitura “genitore” nella carta d’identità della figlia al posto di “madre” e “padre”. Interviene il Governo: “A rischio il sistema di identificazione personale”

Partiamo dai fatti: qualche mese fa è passata in giudicato la sentenza di adozione di una bambina, figlia legale di una donna e adottata dalla sua compagna. A quel punto, le mamme sono andate all’Anagrafe per chiedere i documenti della bimba che, però, sono stati loro negati sulla base del decreto del 2019 firmato dall’allora Ministro dell’Interno Salvini che impone le diciture “padre” e “madre” sul documento di riconoscimento.

Genitore 1 e genitore 2: questione legale, politica o sociale?

La questione è finita davanti al tribunale ordinario che il 16 novembre ha emesso una sentenza con la quale dà ragione alle donne indicando come il Decreto in questione sia viziato da un “eccesso di potere” e violi “le norme, sia comunitarie che internazionali”. Il fatto è che esiste un atto di nascita in cui, relativamente alla bambina, vengono riconosciute una “madre partoriente e una adottiva”, dunque, la carta identità non può certificare una cosa diversa perché creerebbe una discrasia tra “documento di identità e atto di nascita”.
Questa, in estrema sintesi, la vicenda che, inevitabilmente, ha fatto scattare una ridda di reazioni, polemiche e interventi di varia natura. Il principale è quello del Governo che annuncia di volere “esaminare con particolare attenzione l’ordinanza del tribunale di Roma perché presenta evidenti problemi di esecuzione e mette a rischio il sistema di identificazione personale”.
Ma a nessuno sfugge che la questione al centro del dibattito non è certo tecnica, anche perché, da questo punto di vista, esiste già, per esempio, un parere del Garante della privacy che chiedeva la modifica del decreto Salvini, così come esistono diversi pareri autorevoli che sottolineano la solidità degli argomenti del tribunale. Il nodo è tutto politico e, più a monte ancora, di principio: ha senso eliminare le parole “madre” e “padre” sui documenti per evitare qualsiasi discriminazione? O, all’opposto, ha senso imporre la loro presenza?

La mamma è sempre la mamma!

Una questione ineludibile di partenza, però, c’è: questa bambina, una mamma ce l’ha, e la parola “madre” è quella che viene usata per definire il suo ruolo in relazione alla figlia. Anzi, allargando (e complicando) la questione ci si potrebbe chiedere se la “madre” sia quella che ha partorito la bambina o quella che l’ha adottata, perché sappiamo bene come l’adozione sia un atto generativo con il quale una donna diventa a tutti gli effetti “madre” (così come un uomo diventa a tutti gli effetti “padre”).
Ci sono mamme che lottano da oltre 3 anni, giusto per fare un esempio, per poter essere chiamate definitivamente “mamma” dai loro figli già abbinati da una sentenza di adozione e bloccati in Cina per assurdi divieti legati al Covid. E ancora di più sono le mamme che attendono da tempo di poter stringere tra le braccia un figlio, ma il cui desiderio si è perso da anni nei meandri di una burocrazia che tante volte proprio dietro l’uso di parole incomprensibili si nasconde…
Un vecchio adagio popolare dice che “la mamma è sempre la mamma”: davanti a certe questioni e, soprattutto, all’uso strumentale che ne fanno in tanti, senza scendere nel merito della discussione, viene la tentazione di pensare che sarebbe bello, e riposante, se le cose fossero davvero così semplici e naturali.