Il 62% degli affidi dura oltre due anni: perché la CEDU ha condannato l’Italia

La durata dell’affido famigliare di minorenni: ecco cosa non funziona. E cosa si dovrebbe fare per mettersi in regola

I tempi dell’affido famigliare in Italia? Troppo lunghi. Così, con la sentenza che ha deciso il caso di “R.V. e altri contro Italia”, del 18 luglio 2019, la Repubblica Italiana è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) per violazione dell’articolo 8 della Convenzione (rispetto della vita familiare) al pagamento della somma di 33mila euro in favore dei familiari di due minorenni rimasti in affidamento al Comune per ben 10 anni.

Importante considerare il principio stabilito nella sentenza: “l’affidamento di un minore deve essere considerato una misura temporanea che deve cessare appena le circostanze lo permettono, e qualsiasi misura di attuazione dell’affidamento provvisorio dovrebbe essere compatibile con il fine fondamentale del ricongiungimento del genitore naturale con il figlio”.

“Un arco temporale di tre anni- ha illustrato ancora la sentenza – durante i quali i giovani minori sono rimasti in affidamento alternativo, per pervenire a una decisione giudiziaria, che ha rigettato un’istanza d’urgenza nel contesto di misure temporanee, non appare un termine ragionevole.”

A ben vedere si tratta di situazioni non insolite per il sistema di affidamento familiare applicato in Italia, perché, nonostante la legge preveda che esso abbia una durata di due anni prorogabili di altri due con motivazione (legge 149/2001), siccome non esistono conseguenze dirette in caso di allungamento di questi termini, i provvedimenti di affidamento sono quasi di regola disposti per un tempo complessivamente superiore ai due anni e in molti casi anche superiore ai quattro. Ciò in particolare per effetto della successione nel tempo di diversi provvedimenti che lo prorogano.

E infatti, lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel documento “’Quaderni della ricerca sociale 42’ – indagine campionaria – affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2016”, attesta che il 62% dei minorenni in affidamento familiare lo è da oltre due anni, mentre nel caso dell’accoglienza nei servizi residenziali, i due anni di durata sono superati nel 31,7% dei casi.

Nel documento citato lo stesso Ministero nota con preoccupazione che “l’allontanamento dalla famiglia di origine produce sovente l’avvio di un percorso assistenziale che si protrae nel corso del tempo oltre il termine ordinariamente stabilito dalla legge 149/01” e che, inoltre, il “progetto” necessario per l’affidamento di tutti i minorenni non sempre è presente. Nelle stesse linee guida del Ministero sull’affidamento familiare le questioni della “durata” e della esistenza del “progetto” sono evidenziate come punti essenziali. 

Davanti a questo quadro è evidente che occorrono seri provvedimenti per allinearsi alle indicazioni della Corte Europea, trovandosi altrimenti l’Italia in una posizione di inadempimento inaccettabile, essendo un principio ormai noto quello dell’obbligo dei Paesi membri di conformarsi alle decisioni della CEDU a tutela dei diritti fondamentali della persona.

 

Immagine di Adrian Grycuk – Opera propria, CC BY-SA 3.0 pl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35982631