Il Kosovo che accoglie

(Pristina) Da una volontaria di Amici dei Bambini in Kosovo, Sara Catucci, arriva una testimonianza che di seguito riportiamo:

“Quando sono atterrata a Pristina un mese e mezzo fa, il mio aereo era pieno di militari della missione di pace delle Nazioni Unite, sul mio volo non c’erano ne turisti ne businessman incravattati in viaggio di lavoro, come nel resto d’Europa.

E ho iniziato a guardarmi attorno.

La sera il centro di Pristina si riempie e si anima, la gente chiacchiera sorseggiando caffè nei locali: la città si fa popolata e allegra, in un’atmosfera sempre pacata e mai eccessiva. La sera i villaggi del Kosovo si animano nella via principale, che alle volte è l’unica esistente.
Attraversando il territorio del Kosovo si vedono ancora tante file di case distrutte, le fabbriche abbandonate e dismesse, il treno che collega alcuni villaggi che passa due volte al giorno, auto di lusso, carretti, greggi al pascolo che attraversano la strada, cartelloni pubblicitari in più lingue, curiosi nomi di ristoranti e negozi, stormi di merli che fanno spettacolari evoluzioni nella loro terra.
Molte sono le contraddizioni che ho incontrato, seppur in poco e per poco.
Le istituzioni del Kosovo oggi sono diventate formalmente indipendenti ma restano indissolubilmente legate alla presenza delle organizzazioni internazionali e non governative. Lo scenario politico rimane fragile e complesso nonostante la dichiarazione di indipendenza e l’entrata in vigore ufficiale della prima Costituzione del paese e un nuovo inno nazionale con un nome emblematico “Europa”. I leader politici oggi in posizioni di potere hanno passati controversi.
Amici dei Bambini, in questo contesto di transizione politica, ha stipulato un accordo sull’affido familiare con il Ministero del Benessere Sociale, in una realtà nazionale caratterizzata da un elevato numero di minori vittime di violenze o che vivono al di fuori del contesto familiare.
In questi giorni con l’equipe locale di tecnici di Ai.Bi stiamo visitando le famiglie affidatarie e i Centri per il Social Welfare, i Centri che si occupano della protezione all’infanzia e della famiglia, le prime istituzioni che in Kosovo hanno il compito di trovare una soluzione per i bambini abbandonati.
Le famiglie che andiamo a trovare ci accolgono sempre con calore. Esiste un rito nelle presentazioni con le famiglie, facile da imparare per poter comunicare con un sorriso, così come esiste il rito dell’accoglienza, del caffè, delle chiacchierate. Proprio perché l’accoglienza è uno dei punti saldi della cultura balcanica, le famiglie affidatarie hanno sposato in toto la gratuità dell’affido come risposta temporanea da offrire ai minori che si trovano in difficoltà.
In Kosovo, oggi, le famiglie affidatarie restano insufficienti rispetto al numero dei bambini senza genitori. Il grande problema sono le precarie condizioni di vita in cui le versano le famiglie stesse, le quali, nonostante il contributo statale, non riescono a far fronte alla spese necessarie per un minore, specie se ancora in fasce o con qualche bisogno specifico.
Nonostante una grande apertura e disponibilità all’accoglienza c’è da sottolineare come esista una certa difficoltà nell’affrontare le diverse problematiche legate ai minori come abusi, violenze e patologie infantili. Le cause possono essere ritrovate nella carenza delle strutture e dei finanziamenti statali o nella mancanza di statistiche e di dati certi. Inoltre la neonata Facoltà di Psicologia non riesce ancora a dare alla ricerca e alla formazione il giusto contributo rispetto ai bisogni del paese.
La strategia pensata con il Kosovo e per il Kosovo da Ai.Bi, dalle associazioni locali e dalle istituzioni, e’ quella di iniziare a formare gli operatori socio-familiari, gli psicologi, gli insegnati e le famiglie stesse per contribuire ad affrontare le problematiche legate ai minori abbandonati ed affiancare i CSW nel loro importante ruolo.
Nei CSW, infatti, il gap tra personale assunto rispetto al numero dei casi da trattare lascia spesso le famiglia affidatarie sole nell’accoglienza dei bambini, con un passato alle spalle molto difficile.
Quando andiamo a visitare i CSW, ci colpiscono problemi strutturali e anche problemi legati alla nuova impostazione politica del paese che sottolineano la sostanziale differenza tra il termine multiculturalità e interculturalità (questo ultimo termine non trova la sua applicazione ancor oggi nella famosa terra dei merli).
Quando andiamo a visitare le famiglie affidatarie e i bambini che accolgono di qualsiasi età, provenienza, religione, nessuna differenza ci colpisce.
Problemi, dicotomie, contraddizioni, cambiamenti, restano tutti “fuori”, “dentro” esiste solo accoglienza, sorrisi, volti sereni, preoccupazione per i bambini, per il loro benessere, e una tangibile volontà di garantire a questi minori una famiglia, per farli tornare ad essere figli.

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