La riforma della Adozione Internazionale. Ottavo punto: un addetto alle adozioni internazionali in ogni ambasciata italiana all’estero

Nelle ambasciate è spesso presente un addetto commerciale che segue gli imprenditori. Perché le coppie che si recano in altri Paesi ad adottare non sono invece seguite?

Se, nel suo decalogo per una riforma della Adozione Internazionale, il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini ha indicato tra le priorità il trasferimento della CAI sotto il Ministero degli Esteri e l’affidamento della presidenza della stessa commissione a un ambasciatore, la proposta che “per ogni ambasciata italiana sia prevista la figura di un funzionario addetto in modo esclusivo alle pratiche di adozione internazionale” appare un po’ come una logica conseguenza.

Del resto, quando un’azienda italiana si sposta in un Paese estero per internazionalizzarsi o per aprire nuovi canali di vendita, questa trova, a propria disposizione, un addetto al commercio in qualsiasi ambasciata. In buona parte delle residenze della diplomazia italiana del mondo sono inoltre e infatti presenti funzionari dell‘ICE – Istituto per il Commercio Estero, deputati a seguire passo dopo passo gli imprenditori e i manager delle aziende italiane nei Paesi in cui si trovano. Già, ma perché allora una famiglia italiana che si trasferisce all’estero per adottare non ha a disposizione nessuno che la segua negli inevitabili rapporti e adempimenti burocratici con le istituzioni straniere?

Se lo domanda anche lo stesso presidente Griffini: “Forse un frigorifero è più importante di un nuovo cittadino italiano, per giunta minorenne? Io non credo. Eppure le ambasciate sono la struttura che fa la differenza tra un Paese che porta a termine adozioni e uno che non ne realizza: hanno un ruolo fondamentale nei confronti dei rapporti con le autorità straniere preposte a vigilare sulla protezione dell’infanzia e l’adozione. Questi rapporti, per l’Italia, oggi vengono coltivati unicamente dagli enti autorizzati all’Adozione Internazionale, come Ai.Bi. Ma gli enti non sempre, anzi quasi mai, hanno personale italiano nei propri uffici esteri e questo, per le coppie, può essere vissuto come un handicap”.

“Lo Stato italiano – prosegue Griffini – ha il dovere di vigilare su queste coppie e di consentire che l’adozione di un bambino che si appresta a divenire cittadino italiano sia portata a termine con modalità che rispettino gli sforzi e la volontà di accoglienza delle coppie. Questo può essere garantito efficacemente grazie all’autorevolezza che solo un’ambasciata può vantare”.