La riforma della Adozione Internazionale. Primo punto: rispetto assoluto dei termini previsti dalla 476/98

I tempi di attesa dal deposito della domanda al decreto di idoneità devono essere certi e non dilatarsi a sproposito come avviene oggi in molte regioni

Una riforma in dieci punti dell’Adozione Internazionale. Ne ha parlato ieri il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini. L’organizzazione da lui presieduta è nata oltre 35 anni fa da un movimento di famiglie adottive e affidatarie e ha come mission la lotta all’abbandono minorile in Italia e in 34 Paesi del mondo, cui si sono recentemente aggiunti la Libia e la Tunisia. Al primo punto del suo personale decalogo, Griffini ha parlato di una “sburocratizzazione del sistema che si ottiene con la banale applicazione della legge 476/98, totalmente disattesa in questi ultimi anni, da servizi pubblici e Tribunali dei minorenni, per quanto riguarda l’obiettivo della stessa che era fissare dei tempi certi e sicuri affinché la burocrazia non potesse rallentare il percorso”.

Riforma dell’Adozione Internazionale. Tempo medio di 11 mesi irrealistico

Di cosa si tratta? La legge 476 del 1998 interveniva con alcune modifiche sulla legge 184 del 4 maggio 1983, in tema di adozione di minori stranieri. Tra queste vi era l’introduzione di tempi sostanzialmente fissi per l’iter realtivo all’ottenimento del decreto di idoneità da parte delle coppie (articoli 29 bis e 30 delle legge 184/1983), che potrebbe essere riassumibile in un periodo di circa sei-sette mesi. La CAI – Commisione Adozioni Internazionali, nel suo rapporto 2019, riporta invece un tempo medio di attesa, per l’ottenimento dell’agognato decreto, di 11 mesi. Entrambi questi dati, purtroppo, non sono realistici. I tempi, infatti, decorrono dal momento in cui la coppia presenta la domanda, ma non tengono conto del tempo trascorso per frequentare un corso, non previsto dalle normative, che molti tribunali impongono alle coppie. Per questo passaggio possono trascorrere anche parecchi mesi visto che i corsi sono organizzati al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti.

“Queste prassi – commenta il presidente Griffini – sono dei veri e propri abusi di potere. Senza se e senza ma. Questo perché si tratta di procedure che non sono previste da alcuna norma e che, nella fase segnata dall’emergenza sanitaria da Coronavirus, hanno aggravato un quadro già complicato. Abbiamo avuto il caso di una coppia che ci ha segnalato di aver atteso oltre due anni! Un’altra ci ha scritto per spiegarci come, dalla presentazione della domanda all’inizio del percorso con i servizi, siano passati otto mesi per la mancanza del numero minimo necessario ad attivare il corso obbligatorio, attesa che ovviamente si dilaterà dopo il Covid. Tutto questo è veramente sconcertante. Una coppia desiderosa di accogliere non può vedere le proprie speranze frustrate da una burocrazia inefficiente e tirannica”.

Riforma dell’Adozione Internazionale. Le possibili soluzioni

Ma come è possibile risolvere il problema? “Vanno fatti rispettare i termini della procedura di accompagnamento delle coppie normati dalla 476/98 – spiega Griffini – e dunque vanno resi obbligatori, prevendendo sanzioni per il caso di loro violazione. Andrebbe quindi e forse modificato l’articolo 29bis della legge 184/1983, introducendo un comma finale che dica chiaramente che i termini indicati nell’articolo sono perentori e non suscettibili di proroghe. Poi, visto che con la pandemia lo smart working è divenuto di uso comune, innanzitutto sarebbe possibile che i vari passaggi dell’iter avvenissero via PEC o per via telematica, sia per la domanda di disponibilità, sia per la comunicazione del decreto. Anche gli incontri di valutazione (termine che non amiamo visto che le coppie andrebbero accompagnate e non giudicate, ma tant’è…) con i servizi sociali incaricati dai tribunali dovrebbero essere regolamentati rigidamente nel numero e svolti, se possibile, da remoto. L’iter va poi uniformato a livello nazionale: agli adottanti sono dovuti parità di trattamento, trasparenza e celerità del servizio pubblico”.