La riforma della Adozione Internazionale. Sesto punto: il trasferimento della CAI sotto il Ministero degli Esteri

Griffini (Ai.Bi.): “L’accoglienza di un minore straniero abbandonato che diventa cittadino italiano è una delle forme più nobili di politica estera”

Di Kaga tau – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=87165998

Nel suo decalogo per una riforma della Adozione Internazionale, il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, ha inserito, tra i punti fondamentali, anche “il passaggio della Commissione Adozioni Internazionali dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Ministero degli Affari Esteri“. Perché questa proposta?

“L’Adozione Internazionale è assolutamente un progetto di cooperazione internazionale vera e propria e come tale va collocata nella politica estera del nostro Paese. Allo stesso modo, i fondi per renderla gratuita, come chiede Ai.Bi. a partire dal 2021, dovrebbero essere individuati a carico del ministero degli Affari esteri”, spiega Griffini. Come potrebbe accadere? “La CAI – Commissione Adozioni Internazionali, è il vero motore dell’Adozione Internazionale, un motore diplomatico nel senso più stretto del termine, poiché l’attività che svolge è quella di sviluppare rapporti bilaterali con le autorità centrali degli altri Paesi. Ecco, attualmente questa commissione è un organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma, per attuare la riforma che chiediamo, dovrebbe essere collocata, seguendo la strada tracciata da Paesi come la Francia o gli Stati Uniti, sotto il ‘cappello’ della Farnesina”.

Adozione Internazionale al Ministero degli Esteri? “Una scelta logica”

“Se ci si pensa – prosegue Griffini – si tratta di una scelta logica. Se sono un imprenditore italiano e vado in Cina a fare import-export con un’azienda, l’Ambasciata italiana mi sostiene, perché non sto perseguendo solamente un interesse aziendale, ma anche un interesse strategico nazionale. Lo stesso però si potrebbe dire dell’Adozione Internazionale, attraverso la quale un bambino, anzi un cittadino straniero, viene fatto diventare cittadino italiano. Oltretutto, dietro a un iter adottivo, non c’è solamente questo, perché gli enti autorizzati, molti dei quali, come Ai.Bi., sono anche ONG, hanno l’obbligo di far sì che l’Adozione Internazionale sia l’ultimo anello di un progetto di sussidiarietà all’estero. Quindi, con le loro attività nel Paese d’origine dei minori, prima dovrebbero fare in modo che i bambini possano restare con la loro famiglia d’origine, poi eventualmente curarsi che possano essere adottati da una famiglia del loro Paese e infine, in ultimo, se tutti questi tentativi non dovessero funzionare, si dovrebbe procedere con l’adozione all’estero”.

“Così è evidente – conclude Griffini – come l’iter adottivo sia in realtà il punto culminante di una più ampia catena di attività solidali e umanitarie che gli enti autorizzati svolgono all’estero, anche in rappresentanza e per conto dell’Italia. Ecco perché l’Adozione Internazionale è una delle forme più nobili di politica estera e deve, a nostro avviso, essere considerata come tale”.

ASCOLTA L’INTERVISTA AL PRESIDENTE DI AI.BI. MARCO GRIFFINI SU “RADIO IN FAMIGLIA” [spreaker type=player resource=”episode_id=40033960″ theme=”light” autoplay=”false” playlist=”false” cover=”https://d3wo5wojvuv7l.cloudfront.net/images.spreaker.com/original/13561acdeb035b9b8967c137b8cd8eda.jpg” width=”100%” height=”400px”]