La vocazione, esperienza della misericordia di Dio che ci introduce nella logica dell’amore

gesù buon pastorePer la V Domenica di Pasqua, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai testi degli Atti degli Apostoli (At 13,14.43-52) e dell’Apocalisse (Ap 7,9.14b-17) e dal brano del Vangelo di Giovanni (Gv 10,27-30) in cui l’evangelista cita le parole con cui Gesù si presenta come Buon Pastore.

 

Oggi, quarta domenica di Pasqua, in tutta la Chiesa siamo invitati a pregare per le vocazioni, tutte, non solo quelle alla vita consacrata, alla vita religiosa o alla vita sacerdotale, perché ogni cristiano nella sua storia concreta è chiamato a rispondere alla ‘vocazione’, alla voce di Gesù che lo chiama.

Così la vita matrimoniale è ‘vocazione’, è una delle forme con cui i credenti rispondono alla grazia dell’amore di Dio per noi!

Tutte queste vocazioni fanno parte di una grande sinfonia, che è la comunità cristiana, dove ognuno fa – o dovrebbe fare – la sua parte perché anche oggi risuoni nel mondo il canto dell’alleluia pasquale. Se molti stanno zitti, se qualcuno stona, se qualcun altro sbaglia il ritmo e le pause, il coro ecclesiale risulta sfasato, offre una cattiva esecuzione di quel canto di gratitudine e di gioia che è la vita cristiana, nella Chiesa!

Questa è la sottolineatura particolare che papa Francesco ha voluto dare di questa 53° Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, nel corso del Giubileo straordinario della Misericordia: “la Chiesa, madre di vocazioni”.

Ogni ‘vocazione’ cristiana nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è sostenuta dalla Chiesa. Qui noi facciamo esperienza della misericordia graziosa di Dio, in Gesù!

Il libro dell’Apocalisse, nella seconda lettura, ci offre una bellissima immagine della Chiesa.

Giovanni vede «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua». Questa è la Chiesa: un popolo costituito da molti popoli, etnie, culture, un popolo immenso, innumerabile.

Molte lingue diverse, con cui ciascuno canta la lode di Dio, di quel Dio che asciuga «ogni lacrima dai nostri occhi», come dice l’ultima parola oggi dell’Apocalisse.

Con gesto di tenerezza immensa, questo fa la misericordia di Dio per ciascuno di noi: asciuga le lacrime che bagnano il nostro volto, nelle fatiche, nei dolori, nelle asprezze della vita!

Non solo: «Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna».

Così ancora descrive l’Apocalisse questo popolo immenso che è la Chiesa, di tutti i tempi. Un popolo che è saziato, nella fame e nella sete, un popolo quindi che ha trovato compimento ad ogni suo desiderio.

Questo popolo, dice ancora l’Apocalisse, è composto da coloro «che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». È un’allusione evidente al Battesimo, dove noi siamo stati immersi, lavati, purificati, nell’amore sovrabbondante di Gesù, che ha dato se stesso per noi. Questo ‘lavacro’ spirituale, perché avviene nello Spirito, ci dà la forza di passare attraverso la «grande tribolazione» e cioè attraverso tutte le sofferenze che noi siamo chiamati ad affrontare e ad attraversare nel nome di Gesù!

La prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, ci dà una mirabile ‘pennellata’ della gioia immensa e del dolore difficile che caratterizza, da sempre, la vita della Chiesa.

Il racconto si riferisce al primo (dei tre) viaggio missionario di Paolo, con Barnaba. Siamo in Asia Minore, l’attuale Turchia. I due apostoli entrano «nella sinagoga nel giorno di sabato» e si siedono tra gli altri. Qui annunciano la Parola di Dio e pian piano molti li seguono, al punto che «il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore». Tutti sono desiderosi di ascoltare quella Parola che sazia la loro fame …

Ma questo eccita la gelosia dei Giudei, che cominciano ad insultare Paolo e a contraddirlo.

Vedete: anche allora non tutti accoglievano l’annuncio di grazia del Vangelo di Gesù! È la «grande tribolazione».

Ma Paolo e Barnaba non si demoralizzano, anzi, si lasciano istruire da questo rifiuto. Con grande franchezza, la parresia, si rivolgono a coloro che li ingiuriano e li rifiutano, i Giudei, dicendo che «era necessario che …  la parola di Dio … fosse annunziata …  prima di tutto a» loro. E aggiungendo che, dato che loro (i Giudei) hanno respinto questa parola di salvezza, questa sarà annunciata «ai pagani».

Così, da un rifiuto, nasce un’occasione feconda e ricca di straordinarie, nuove opportunità per tutta la storia futura della Chiesa.

Il racconto degli Atti prosegue dicendo ancora dell’ostilità dei Giudei, che arrivano a sobillare tutta la città contro Paolo e Barnaba, fino a farli scacciare dal loro territorio.

Nello stesso tempo, però, «i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo». Sembra paradossale, ma insieme alla tribolazione, e oltre ogni tribolazione, la vita dei discepoli è sempre segnata dalla gioia, che è frutto dello Spirito.

È la gioia che scaturisce dall’ascolto e dalla comunione con Gesù. È di questa che parla il Vangelo, nel capitolo 10 di Giovanni, nel famoso e lungo discorso di Gesù buon pastore, di cui oggi abbiamo proclamato solo una piccola parte.

«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». È una parola veramente folgorante, questa, nella sua incisività e profondità.

Qui è descritta l’essenza di ogni vocazione cristiana: l’ascolto, la voce, la sequela di colui che ci conosce, ci ama e ci custodisce, donandoci la pienezza e la bellezza della vita, che è una esperienza di comunione, nell’amore di Dio («Io e il Padre siamo una cosa sola»).

Fermiamoci per un momento su queste tre parole: l’ascolto, la voce di Gesù, la nostra risposta, nella sequela, che è l’andare dietro a lui.

Ogni vocazione nasce dall’ascolto. Esattamente come la fede, perché la fede stessa è ‘vocazione’. L’ascolto non è un atteggiamento puramente passivo, anzi, al contrario, richiede una grande libertà e disponibilità.

Se sono oppresso, stanco, preoccupato, non riesco ad ascoltare. L’ascolto richiede apertura all’incontro con l’altro, spezzando il cerchio della sordità egoistica di chi pensa solo a sé.

L’ascolto dunque è ascolto di una ‘voce’.

È molto bella la metafora della ‘voce’, qui suggerita da Gesù. Le sue parole passano attraverso la sua voce. ‘Vocazione’ deriva da voce. Ogni voce è una chiamata. Non dice solo qualcosa, ma ci chiama a rispondere. La voce noi l’ascoltiamo, ma non siamo noi a produrla, a inventarla. Noi non ci sogniamo di aver ascoltato. La ‘voce’ dice il primato di colui che ci parla, si rivolge a noi, perché ci conosce e ci ama. La voce chiede una risposta, ci apre a responsabilità.

La nostra libertà, la nostra vita è tutta una risposta, la risposta libera ad una chiamata, che è la Parola di Gesù, parola di grazia e di amore, che risuona anche negli eventi concreti della vita, nei volti delle persone che noi incontriamo sul nostro cammino.

Ogni voce ci chiama a ‘seguire’ Gesù. La responsabilità diventa ‘sequela’, il nostro cammino dietro a Gesù.

Solo così noi non perdiamo la possibilità di continuare ad ascoltare la sua voce.

Dunque questa risposta non è data una volta per sempre, come se la ‘voce’ ci chiamasse solo una volta, la prima volta, ma è una chiamata che ‘dura’ per tutto il tempo della vita. È chiamata a rispondere ad un amore, una grazia, nella quale Gesù ci sollecita a fidarci di lui, a entrare nella logica dell’amore, della comunione, che è lo stile di Dio.