Maria Grazia Calandrone. La bellezza di un’adozione. Nonostante tutto

La scrittrice Maria Grazia Calandrone nel suo libro Splendi come Vita racconta il rapporto inscindibile e complicato tra una mamma e la figlia adottata: le incomprensioni, i sensi di colpa, i pensieri sbagliati e il grande amore che “splende”, più forte di tutto

Tra i cinque finalisti dell’ultimo Premio Strega, il più importante riconoscimento letterario italiano, c’era anche la scrittrice e poetessa Maria Grazia Calandrone, con il suo libro Dove mi hai portata (Einaudi). Come già raccontato in quella occasione, questo romanzo ha al centro la ricerca delle origini da parte di una figlia adottata. Ma, idealmente, l’opera è il seguito del precedente lavoro di Calandrone, Splendi come vita (Ponte alle Grazie), che è completamente incentrato sul rapporto di una bambina con la propria madre adottiva e sulla repentina frattura che si crea tra le due nel momento in cui la mamma le rivela di non essere la sua madre naturale.

Un amore “interrotto” ma mai spezzato

La storia è autobiografica, non a caso il libro si apre con un ritaglio di giornale che racconta dell’adozione della piccola Maria Grazia, abbandonata dalla mamma, suicidatasi a 29 anni, quando aveva solo 8 mesi e accolta dai coniugi Calandrone.
Al centro della narrazione c’è il rapporto tra la figlia adottata e la mamma adottiva, donna forte e determinata, a sua volta abbandonata dal padre e capace di ricostruirsi una vita, diventare insegnante e, appunto, adottare una bambina.
Tutto cambia, però, nel momento in cui la donna confessa alla figlia di non essere la sua “Mamma Vera”. Una rivelazione che sconvolge non tanto per la figlia quanto la madre stessa, che è come se rimanesse vittima della sua stessa confessione, risultando non più “mamma vera” ai propri stessi occhi.
Sostanzialmente, quello che si crea nell’animo della donna è un grosso equivoco, già evidenziato dalla scelta della parola “vera” associato a mamma: chi può dire, infatti, chi sia una mamma vera e chi no? Cosa rende “vera” una mamma?
D’altra parte, come ha spiegato la stessa autrice, questo è un errore in cui molti genitori adottivi cadono: pensare di non essere amati perché non sono loro i genitori biologici. In realtà, per tutti i genitori arriva un momento in cui non ci si sente amati dai figli, ma di fronte a questa situazione i genitori adottivi sono portati a interrogarsi se ciò sia a causa del non essere i genitori biologici, associando un fatto a un altro come se ci fosse un automatismo e una correlazione che, invece, non c’è.

Una vita che splende più forte di ogni incomprensione

Così si innesca in circolo vizioso, in cui il senso di colpa si acuisce e finisce per coinvolgere anche la figlia, che cerca in ogni modo di far stare meglio la mamma e, nello stesso tempo, di fare i conti con la rabbia nei suoi confronti per questo “non sentirsi più amata”, che è più nelle parole che nei fatti.
La vicenda prosegue in un crescendo di dolore e incomprensione, portando alla luce tutta la difficoltà di un rapporto adottivo nel quale a non essere “pronta” era la mamma, non la figlia.
Eppure, nonostante tutto, il messaggio che rimane è quello di una bellezza e di un amore che va oltre, come già nel titolo in qualche modo viene dichiarato: “Splendi come vita”.
Perché, come ha raccontato Calandrone al sito Semprenews: “Alla fine di tutto questo racconto è emersa, pur in tutte le sue contraddizioni, dolori, traumi e contrasti, una figura splendente nella sua umanità… Nel mio libro racconto anche i comportamenti quasi feroci che mamma ha avuto, ma a me, quello che resta, è la bellezza, la forza, lo splendore di un’esistenza”.
E, possiamo aggiungere noi, la bellezza di un’adozione