Maria Luisa e Roberto al Corriere della Sera “Non arrendetevi, noi abbiamo aspettato 5 anni…ma ne vale la pena !” 

Hanno iniziato la trafila burocratica a maggio 2014. Ora hanno potuto portare a casa Nicanor, il loro «piccolo principe», che era ospite di un istituto di Cochabamba, in Bolivia, si legge nell’intervista di Andrea Federica de Cesco per il Corriere della Sera ad una famiglia adottiva di Ai.Bi.

La prima volta che Maria Luisa Capobianco e suo marito Roberto Anni hanno visto il loro futuro figlio è stata attraverso una foto. Il bambino, a braccia aperte su uno scivolo colorato, sorrideva, con sullo sfondo il cielo azzurro; lo scatto era stato fatto nel patio dell’istituto di Cochabamba, in Bolivia, dove il piccolo aveva trascorso la maggior parte della propria esistenza.

Era bellissimo, ci siamo commossi…” racconta la famiglia nell’intervista. Solo poco tempo dopo, nel novembre 2018, la coppia era già a La Paz, in Bolivia, dove finalmente avrebbero potuto diventare genitori.  Ma tutto ha inizio quattro anni e mezzo prima, quando a maggior 2014 depositano la dichiarazione di disponibilità all’adozione al Tribunale per i minorenni.

Ancora non lo sapevamo, ma in quello stesso periodo stava iniziando il percorso che avrebbe portato all’istituzionalizzazione di Nicanor. A credere nel destino, si potrebbe pensare che non è stato un caso se ci siamo trovati”.

Quello tra Maria Luisa, 48 anni, e Roberto, 47, è stato il classico colpo di fulmine. “Ci siamo conosciuti nel 2010. Io all’epoca facevo il fotoreporter ed ero appena tornato in Italia dopo dieci mesi in Indocina. Avevo intenzione di vendere casa e trasferirmi in Australia” racconta Roberto. “Ero passato a salutare un’amica e l’avevo trovata mentre faceva il cambio dell’armadio con Maria Luisa. Come dice lei, è entrata nella mia vita e non ne è più uscita”. Roberto aveva trascorso il 2011 a cercare di convincere la donna a mollare tutto per andare in Sudafrica. Ma quando aveva capito che non era ciò che Maria Luisa voleva, aveva accettato di vivere a Milano e aveva aperto un’azienda agricola (lei fa l’avvocato). Nel 2012 Maria Luisa e Roberto si erano sposati. Avevano provato ad avere un bambino, ma quando avevano capito che sarebbe stato complicato avevano deciso di adottare. “Nella mia famiglia, peraltro, non sarebbe stata la prima volta”, racconta Roberto.

Non appena avevano maturato i requisiti richiesti – essere sposati da almeno due anni e convivere da almeno tre – avevano depositato la domanda. Servizi sociali e psicologa li avevano ritenuti idonei per l’adozione nazionale, ma su questo canale non avrebbero mai ricevuto proposte concrete. Il decreto del Tribunale che dichiarava la coppia idonea all’adozione internazionale era invece arrivato nell’aprile 2015. Non restava che scegliere a quale ente conferire il mandato. “È una fase molto delicata: ce ne sono decine e ovviamente ci si vuole assicurare di affidarsi al migliore”. Nel gennaio 2016 Maria Luisa e Roberto si erano infine decisi per Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini). “Quando ad Ai.Bi. hanno accennato alla Bolivia ci è sembrata una buona opzione, soprattutto per la vicinanza culturale. Dopo otto anni di stop, il Paese aveva da poco riaperto le adozioni internazionali”. Non si sarebbero mai aspettati, però, che prima che venisse assegnato loro un bambino avrebbero dovuto attendere così a lungo.

“Alla fine in totale ci sono voluti quasi cinque anni. Non è stato facile aspettare tanto, soprattutto nell’era del digitale, del “tutto e subito””, commenta Roberto. “Per evitare di pensare ci siamo buttati a capofitto nei nostri progetti. A un certo punto le persone hanno smesso di chiederci se ci fossero novità. E io confesso che ho valutato se fosse il caso di rinunciare”. Ma alla fine la chiamata è arrivata. Moglie e marito si sono precipitati nel Paese sudamericano e hanno conosciuto il bambino, sei anni e lo stesso nome di un celebre poeta cileno. “Al principio avevamo un po’ d’ansia… È stato un graduale innamoramento”, riflette Maria Luisa. “Nicanor è grande, è consapevole di essere stato adottato. E sa che siamo orgogliosi della nostra storia: lui aspettava la mamma e il papà e noi aspettavamo lui”.

Dopo una fase di avvicinamento, il bambino ha lasciato l’istituto per andare a vivere con i genitori, a La Paz. A inizio dicembre c’è stata la prima udienza per l’adozione. A gennaio la seconda, quella che ha ufficialmente reso Nicanor figlio di Maria Luisa e Roberto. Nel mezzo, Natale e Capodanno, trascorsi con un’altra coppia, romana, in Bolivia per adottare. “Mancavano soltanto i documenti: ci hanno fatto tribolare parecchio”. Roberto racconta di aver visto l’elicottero bianco con a bordo Evo Morales dirigersi verso una riunione di governo durante la quale l’ormai ex presidente boliviano ha destituito diversi ministri. Per fortuna, fra questi non c’era la viceministra che doveva firmare un documento fondamentale affinché lui e Maria Luisa potessero tornare a casa con Nicanor. “Abbiamo ricevuto il nullaosta dell’ambasciatore italiano in Bolivia il giorno prima della partenza, fissata per il 26 gennaio”.

Ormai è quasi undici mesi che il bimbo vive in Italia. A settembre ha cominciato la prima elementare e parla l’italiano in modo praticamente perfetto. Dopo tanto tempo nell’istituto, sta imparando un modo per lui nuovo di approcciarsi ai propri coetanei. “Ha un bellissimo carattere, i nonni e i cuginetti lo adorano. È “El Principito”. Quest’ultimo anno insieme è stato meraviglioso, pieno di gioia”, dicono Maria Luisa e Roberto, mentre il bambino saltella da una parte all’altra del salotto di casa. “Nicanor ha fatto l’albero di Natale insieme a noi, è stato molto emozionante… E ha scritto la letterina per Gesù Bambino: va matto per i Lego e per gli aeroplanini. Il 25 festeggeremo qui da noi, con nonni, zii e cugini. Non vediamo l’ora. È stata dura, ma ne è valsa la pena”.

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Da il Corriere della Sera, intervista di Andrea Federica de Cesco