Dove può oggi un cristiano trovare ispirazione e forza per le sue scelte?

gesù in preghieraPer la XII Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Libro del profeta Zaccaria (Zc 12,10-11, 13,1), della Lettera di san Paolo apostolo al Gàlati (Gal 3,26) e del Vangelo secondo Luca (9,18-24).

 

Se prendiamo il Vangelo come traccia per la nostra meditazione sulla Parola di questa domenica, scopriamo in esso come un cammino esemplare per la nostra vita di cristiani.

È un testo molto ricco e stimolante anche per noi.

Al centro, o al culmine, di questo Vangelo sta la domanda che Gesù pone ai discepoli e cioè non solo ai Dodici, ma a tutti coloro che lo seguivano e ascoltavano la sua Parola.

Questa è la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?».

È un interrogativo, a prima vista, un po’ strano. Non è una cosa frequente che una persona ponga ad altri questa domanda su di sé. Anzi, il contesto ci aiuta a comprendere ancor più l’importanza dell’interrogativo posto da Gesù.

«Si trovava in un luogo solitario a pregare».

Nel Vangelo di Luca, nei momenti più importanti della vita di Gesù, viene sottolineato come egli cerchi dei luoghi solitari, per pregare. Come tutti gli ebrei, anche Gesù aveva momenti di preghiera comuni agli altri. In più, però, lui cercava dei tempi e degli spazi di preghiera per sé solo.

Questo tratto della sua vita è già rivelativo della sua identità. Per lui il rapporto con Dio, il parlare con Dio, l’ascoltare Dio era vitale e necessario, come l’aria che respirava.

La sua preghiera rivela la comunione profonda che egli vive, con Dio, che è il Padre suo. È in questa relazione che egli trova alimento, forza, ispirazione, guida per le sue scelte.

Così, mentre sta pregando, e i suoi discepoli stanno lì vicino, Gesù pone loro una prima domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?».

Gesù sta camminando lungo le strade della Palestina, ha compiuto molti segni straordinari, guarigioni miracolose, risurrezioni di persone morte, ha pronunciato parole di grande sapienza, che attiravano e affascinavano le folle. A questo punto, è come se egli volesse costringere i discepoli a fare una sorta di ‘bilancio’, per comprendere che cosa stava accadendo intorno a loro, che seguivano questo maestro così particolare.

E i suoi discepoli rispondono sottolineando come le folle siano colpite da questo uomo, nel quale riconoscono una figura importante, un profeta, e cioè un uomo che parla a nome di Dio. «Giovanni il Battista … Elìa … uno degli antichi profeti che è risorto».

Per le folle questo è chiaro: Gesù è un uomo che parla a nome di Dio, con l’autorità di Dio stesso.

 

Questa risposta dice il fascino che Gesù già allora esercitava presso le persone che lo incontravano. In effetti, se noi guardiamo alla storia del mondo, e in particolare all’occidente, e qui da noi, in Italia, a Bergamo, non possiamo che dire che Gesù ha sempre esercitato un grande fascino sulle persone.

Anche oggi, che pure viviamo in un’epoca di rapida diminuzione dell’interesse e dell’appartenenza alla Chiesa, Gesù continua ad attirare l’attenzione e lo sguardo di molti, anche di chi non si dice (più) cristiano!

Già allora Gesù si faceva notare e così è stato anche nella storia dell’umanità.

Ma poi Gesù, in modo diretto, pone questa stessa domanda ai suoi discepoli. Li ‘costringe’ a riflettere e a pensare in prima persona: «Ma voi, chi dite che io sia?».

È interessante quel: «Ma voi…», perché è come se Gesù chiedesse ai suoi non solo di dire quello che pensano, quello che credono, proprio loro, ma anche perché è come se Gesù volesse ‘separare’ o ‘distinguere’ i suoi discepoli da tutti gli altri.

Non che Gesù voglia contrapporre i suoi, no. Però vuole risvegliare la loro responsabilità e la necessità della loro – e nostra – testimonianza.

E’ anche interessante che questa domanda non sia rivolta alla prima persona singolare: ”ma tu”, ma al plurale: “voi”! Le parole di Gesù chiedono la risposta di una comunità, che è l’inizio della Chiesa.

Risponde Pietro, il primo dei Dodici, e risponde a nome di tutti: «Il Cristo di Dio».

È una risposta molto diversa da quella delle folle.

Pietro dice a Gesù: “Tu sei l’Unto di Dio, il Messia”, annunciato dai profeti. Non sei un profeta qualsiasi. Sei l’ultimo dei profeti, annunciato da Elia. Sei più che un profeta.

Ai tempi di Gesù, in effetti, gli ebrei attendevano questo Messia, che avrebbe finalmente riscattato un popolo umiliato e sottomesso, per riportarlo alla sua dignità di popolo eletto dal Signore.

Molti dunque si aspettavano un Messia politico, che avrebbe risollevato le sorti non solo religiose, ma anche politiche del popolo di Israele. È qui che Gesù prende decisamente le distanze da queste attese e chiede ai suoi discepoli di fare un passo in più.

Così, egli ordina ai discepoli «severamente di non riferirlo ad alcuno». Loro lo sanno, lo hanno compreso che Lui è il Cristo. Ma Gesù chiede di non «non riferirlo», di tenere per sé questa loro convinzione. Per una ragione molto semplice e molto forte: perché li attendeva ancora un lungo cammino di conversione!

Qui Gesù rivela ai discepoli che lui, il Messia, sarebbe stato «il Figlio dell’uomo», come era stato annunciato dai profeti, ma un Figlio dell’uomo molto particolare.

Così dice di sé che avrebbe dovuto «soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Sono parole folgoranti.

A questo punto della sua missione, Gesù aveva compreso che lo attendeva un destino tragico, un destino di morte, preceduto da rifiuto, persecuzione, da parte dei capi religiosi del popolo. Ma sa anche che la sua morte non sarebbe stata l’ultima parola della sua vita.

Il terzo giorno, per opera di Dio, egli sarebbe risorto da morte.

Queste parole sono scarne, essenziali, Gesù non descrive i dettagli della sua vicenda finale, perché lui stesso non li conosce. Sa però che il Padre non lo abbandonerà nelle mani dei suoi uccisori. L’ultima parola della sua vita è un segno di speranza, è un atto di Dio vivente!

È a questo punto che «a tutti», e cioè ai discepoli e non solo ai discepoli, Gesù rivolge delle parole bellissime.

Sono due frasi: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

La prima parola è da meditare con profondità: «Se qualcuno…».

Gesù ci lascia liberi, anzi si rivolge alla nostra libertà.L’essenziale, in questa parola, è la decisione di andare ‘dietro’ a Gesù, di seguirlo.

Da qui due piccole conseguenze: seguire lui vuol dire ‘rinnegare’ se stessi e cioè non ‘disprezzare’ se stessi, ma mettere lui al centro e non se stessi. Dire di sì a lui, seguirlo, a volte significa rinunciare a sé, uscire da se stessi, per fidarsi di lui, senza condizioni. E questo nella vita di ogni giorno, prendendo la propria ‘croce’ e cioè – ben più che i nostri dolori, che tante volte non sono affatto ‘croci’ – accettando tutto il carico di dolore, rifiuto, incomprensione che può costarci la sua sequela.

E poi la seconda parola è bellissima, è (quasi) il ‘succo’ della vita di ogni discepolo di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà»

Chi cerca e pretende di salvarsi da solo, si perde, rimane vittima della sua ricerca affannosa, perché cerca solo se stesso, non ha gli occhi aperti sulla vita e la storia.

Chi invece, aprendo gli occhi alla storia, incontra Gesù e decide di affidare a lui la propria vita, decide di ‘perdersi’ per Gesù, come per la causa che dà valore e bellezza alla sua vita.

Chi dunque ‘osa’ dedicarsi a lui, allora – solo dopo – scoprirà che ne valeva veramente la pena.

È solo fidandoci di Gesù che noi scopriamo la bellezza della vita, la bellezza di una «promessa», come dice Paolo ai Galati, che non delude.