Nepal. A 7 mesi dal terremoto è ancora emergenza: “Ogni notte mi raggomitolo su una tavola di legno con mio marito, i due bambini e mia sorella più piccola”.

nepal acquaA quasi 7 mesi da quel terribile 25 aprile, come vivono i nepalesi? Sono tornati nelle loro case? Hanno alloggi caldi e confortevoli? I bambini vanno a scuola? Hanno accesso ad acqua corrente pulita e al sicuro da infezioni e contaminazioni?  No, niente di tutto questo. La situazione delle vittime del terremoto a sei mesi da quel terribile giorno continua ad essere drammatica, ma sembra che non faccia più notizia e al di là di alcune testate on line straniere, i media italiani ne parlano sempre meno.

Anzi, la situazione peggiora, perché i nepalesi oltre a vivere ancora in tende di emergenza, non hanno più gas a causa del blocco dell’India, per cui la maggior parte delle persone deve quindi cucinare con rami secchi che trova in giro per la campagna.

Aiti, una donna che si trova in un campo a Sindhupalchok, assieme ad altre 350 persone racconta: “Nessuno qui sa davvero cosa faremo. Parli con chiunque qui e ti dirà la stessa cosa. Non possiamo tornare a casa perché non c’è più una casa e non possiamo vivere qui. Così è”.

Le famiglie pagano 15 mila rupie nepalesi al mese (140 euro circa) per  lo spazio che occupano nella scuola ( in cui sono alloggiate); 10 rupie giornaliere per l’utilizzo del bagno. Sole o pioggia, le tende sono l’unica casa che Aiti e la sua famiglia hanno conosciuto negli ultimi sei mesi. “Ogni notte mi raggomitolo su una tavola di legno – racconta- rialzata con dei mattoni con mio marito, i due bambini e mia sorella più piccola”.

E il peggio è che non c’è scelta, una valida alternativa. Un’altra donna, Sunita Rana Magar, ha appena affittato una stanza vicina per 3 mila rupie al mese, perché lei è incinta e suo marito ora ha un lavoro come autista di un minibus. Ma il marito di Aiti è stato meno fortunato e spesso fa solo il giro della città, alla ricerca di un lavoro.

E i bambini? “Ce ne sono più di 80 nei campi qui. E ‘inverno e fa freddo a Kathmandu e i bambini si ammalano frequentemente. Sono facilmente affetti da tosse, raffreddore, febbre e diarrea”.

“Nessuno vuole rimanere qui…Preferiremmo tornare al nostro distretto (Sindupalchok), se avessimo i mezzi per inventarci un lavoro o una casa” dice Subu, che condivide una tenda con i figli e nipoti :  undici persone sotto una tenda.

Con la crisi del carburante, il problema dell’acqua si è aggravato. “Le organizzazioni internazionali, che si occupano della fornitura di acqua potabile – continua – hanno detto che non possono più farlo, costringendoci a camminare per circa 40 minuti per andare a prendere l’acqua”.

Per i sopravvissuti, c’è anche un impatto psicologico profondo da gestire e superare. A volte mi ritornano in mente immagini di persone ferite o uccise lo scorso 25 aprile. I pensieri mi fanno molto, molto male”, dice Deuti, che lavorava nella città cinese di Zhangmu come commessa quando la calamità ha devastato il Paese.

Per tutti loro, il lavoro da fare per garantire una vera assistenza è ancora tantissimo. Ai.Bi è ancora là, in prima linea ma ha bisogno del contributo di tutti, possibile attraverso una donazione o l’attivazione di un Sostegno a Distanza per l’Emergenza Terremoto Nepal.

Fonte: www.kathmandupost.ekantipur.com