Dal parto in anonimato, 56 anni fa, all’adozione: il viaggio di scoperta e riconciliazione di Claudia Roffino

L’autrice del libro Una vita in dono ripercorre la sua storia di bambina diventata figlia con l’adozione, immaginando, in parallelo, la vicenda della donna che l’ha partorita e, con coraggio, ha scelto di darle un’altra possibilità

“Io sono nata in tutta sicurezza, in ospedale, per questo non riesco a dire di essere stata abbandonata. Vedo dietro questa scelta la consapevolezza della mia madre biologica di non farcela, ma di decidere per me un’altra possibilità. È forse questo che mi ha permesso di condurre la mia ricerca, da adulta, nel modo in cui ho scelto di farlo”.

Una lunga ricerca

Claudia Roffino è una figlia non riconosciuta alla nascita; vive a Torino e insegna greco e latino. Il suo libro Una vita in dono (99 Edizioni, 314 pagine, 19,90 euro), scritto a quattro mani con Barbara Di Clemente, già dice molto della sua storia. Parlandole, si ascolta la voce di una donna che ha compiuto un lungo e profondo viaggio interiore alla fine del quale ha trovato la sua pace. Ben inteso, non parliamo di una persona che ha sublimato e poi condannato, idealizzato e magari giudicato la donna che l’ha partorita e non riconosciuta 56 anni fa: la ricerca è stata certosina e anche molto razionale.
“Certo in questo tempo ho attraversato varie onde emotive e consapevolezze, ci vuole tempo per perdonare, ma sono arrivata, oggi, a provare rispetto per mia madre biologica – dice Claudia. Ho capito che spesso madre e mamma sono un’unica persona, ma a volte no. Le differenze ci sono e occorre tempo per comprendere tutto questo”.
E così è sul dono e sulla vita che Claudia intende soffermarsi e puntare l’attenzione, iniziando la ricerca delle sue origini nella consapevolezza che “non è vero che se sei stata adottata da neonata non sono rimasti in te dei segni: le tracce lasciate dentro di me c’erano, eccome”.

Il viaggio di Claudia Roffino è stato anche reale

“Ho intervistato e raccolto testimonianze in vari ospedali del Piemonte e Lombardia, da Torino, Novara a Milano – racconta Claudia ripercorrendo la genesi della sua pubblicazione. Ho parlato con assistenti sociali, ginecologi, infermieri e operatori dei reparti di Neonatologia che per lavoro hanno incontrato più volte donne che non hanno riconosciuto il proprio figlio”. In tal modo ha potuto scrivere un libro che corre su due piani: il primo è la storia di Claudia diventata figlia con l’adozione nel giorno di febbraio di santa Claudiana (“ma i miei genitori mi hanno sempre chiamato Claudia”); il secondo è la vicenda romanzata della madre biologica.
Questa è la natura del suo viaggio, che corre su immaginari binari paralleli per quanto sfasati nel tempo: la bambina, neonata di tre mesi, adottata in anni in cui ancora non esisteva l’adozione legittimante in Italia; e la donna che, come le madri biologiche dei piccoli lasciati anche oggi nelle culle per la vita, decide di non diventare madre ma di lasciare la bambina in mani sicure. E con coraggio, sceglie il parto in anonimato.
“È di questo che voglio parlare, al di là della mia storia – aggiunge Claudia – perché oggi è molto, troppo diffuso un ‘mal linguaggio’ nei media e nella società su questi argomenti e occorre impegnarsi, a tutela soprattutto dei bambini. Quando si parla di adozione, si parla molto di adozione internazionale, meno di storie come la mia o di altre persone partorite in anonimato. Si parla di queste donne con superficialità, come se volessero sempre e solo disfarsi dei bambini: e si abusa del termine abbandono. Credo siano scelte molto difficili e sofferte”.
Così Claudia ha ben chiara la consapevolezza del ‘buio’ delle sue origini e della luce delle sue radici, ovvero la famiglia che l’ha cresciuta e la città in cui è vissuta: “Fortunatamente i miei genitori hanno sempre parlato liberamente della mia storia, hanno iniziato a raccontarmela quando avevo circa 3 anni – ricorda Claudia : e pensare che all’epoca c’era quasi una diffusa vergogna nel dire di aver adottato un figlio. La cosa divertente fu che a me piacque moltissimo, la mia storia: ricordo che all’asilo raccontavo alle mie compagne di essere nata già ‘pronta’ ….un po’ come i prodotti sugli scaffali del supermercato!”