Perché il crollo delle adozioni internazionali? Bonetti (Presidente CAI): “La cultura negativa creata dalle pressioni di alcune ong internazionali” 

Nella Relazione al Parlamento della Commissione Adozioni Internazionali si evidenzia come le pressioni delle comunità internazionali abbiano creato una cultura che privilegia i legami di sangue rispetto al diritto del bambino ad avere una famiglia anche diversa dalla propria.

È stato pubblicato nei giorni scorsi, dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, la Relazione al Parlamento sullo stato delle adozioni in Italia.

Il documento, a firma del Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità Elena Bonetti, in qualità di Presidente della CAI, illustra l’andamento delle adozioni internazionali in Italia nel periodo 2001-2017 e dedica una specifica sezione agli anni 2018-19.

Un settore che seppur sta vivendo un momento di profonda crisi a livello mondiale, vede ancora oggi l’Italia al secondo posto, dopo gli Stati Uniti per numero di ingressi.

I motivi del calo delle Adozioni Internazionali

I motivi del calo delle adozioni, si legge nel documento, sono molteplici e da ricercare più nella “offerta” che nella “domanda”.  Infatti: “Pur essendovi stata una diminuzione delle domande di adozione rispetto agli anni passati, queste sono sempre di gran lunga superiori ai bambini destinati all’adozione internazionale,  il cui carattere sussidiario si è andato progressivamente accentuando nel corso del tempo. Permane però l’idea – continua la CAI- che l’adozione sia un diritto che deve sempre essere soddisfatto e non invece una mera disponibilità ad accogliere minori in stato di abbandono”.

I fattori della crisi sono quindi diversi:

Il desiderio delle coppie di adottare bambini piccoli, possibilmente sani, minori che  oggi “sono quasi scomparsi dal panorama adottivo”.

Un numero di bambini destinati dai Paesi di origine all’adozione, sempre più ridotto perché, come sottolinea la CAI: “Sovente i Paesi stranieri tendono a privilegiare forme di protezione dell’infanzia sul territorio”.

“Le pressioni della comunità internazionale e di alcune ONG – che spiega la Commissione – hanno spinto, all’esito di alcuni scandali (Regno di Cambogia, Nepal, Repubblica Democratica del Congo), nella direzione della chiusura dell’adozione internazionale”.

Una cultura che tende a privilegiare a tutti i costi il legame biologico: “rispetto al diritto del bambino ad avere una famiglia anche diversa dalla propria, principio invece che ha ispirato la nostra Legge 184/83”.

Calo delle adozioni internazionali: Quali conseguenze?

La conseguenza di questi fattori è che numerosi bambini rimangono in istituto e che all’adozione internazionale vengono destinati sempre più older children e/o con patologie anche gravi, riversando sugli Stati di accoglienza gli oneri sanitari e sociali – chiarisce la CAI – Le famiglie italiane spiccano, nel panorama mondiale, per la capacità di accoglienza e per la disponibilità ad accogliere e farsi carico dei bambini più fragili, ed è per questo che i nostri numeri rimangono alti”.

Calo delle Adozioni Internazionali: Cosa si può fare per invertire la tendenza?

È giunto il momento di un’attenta riflessione per indirizzare un cambiamento nella normativa e nelle politiche dell’Adozione Internazionale.

Nella fase pre-adozione deve essere rafforzata la preparazione delle coppie ad accogliere bambini con special needs, che rappresentano la maggioranza dei minori adottati – suggerisce il Ministro Bonetti nella relazione – A questo fine andrebbero incrementate le risorse dei servizi pubblici per la creazione a livello regionale di équipe specializzate in materia di adozione. Analogamente deve essere posta maggiore attenzione al post-adozione la cui competenza oggi è suddivisa tra servizio pubblico ed Enti Autorizzati, entrambi allo stato attuale insufficienti. Peraltro la scelta – se avvalersi dell’uno o dell’altro – è lasciata alla libera valutazione dei genitori adottivi.

In conclusione, l’intero settore deve essere oggetto di una profonda riflessione”.