Il primo incontro con nostro figlio: mai, mai, mai avremmo pensato che potesse essere così dura!

Tutti i genitori adottivi si immaginano che il primo incontro con il loro figlio sia un momento di estrema gioia. La realtà può essere diversa, ma la pazienza e, semplicemente, “l’esserci”, alla fine fanno comunque sbocciare una nuova famiglia felice

Tutti ti dicono “il primo incontro con il figlio… è innamoramento a prima vista! Rimarrà indelebile nella memoria, come unico e prezioso fotogramma nell’anima”. Certo, gli operatori ti avvertono che la sensazione potrebbe non essere reciproca e il bambino potrebbe metterci un po’ ad accettare la nuova situazione e a lasciarsi andare a quella “mamma e papà” che, in fondo, sono delle figure totalmente nuove per la sua nuova vita.

Il racconto di un incontro faticoso

Nel nostro caso, in particolare, la psicologa aveva previsto che nostro figlio avrebbe potuto rifiutare inizialmente l’idea di accettarci: il bambino era anche troppo piccino per prepararlo, in qualche modo, al cambiamento di vita, e in istituto nessuno gli aveva anticipato cosa sarebbe successo dopo l’incontro con “questi sconosciuti occidentali”.
Probabilmente, ci siamo detti, comprenderà solo che qualcosa cambia; si adeguerà “passivamente” al suo nuovo status, ma… comprenderà che questi nuovi adulti sono i suoi genitori? Cosa possono essere dei “genitori”, per lui che è stato abbandonato fin dalle prime ore?

In qualche modo, dunque, eravamo preparati, ma mai, mai, mai avremmo pensato che nella realtà potesse essere così dura! Perché per quanto si possa essere informati, non è per nulla facile accettare, magari, un rifiuto.
Eravamo pronti a urla, grida, pianti, tentativi di divincolarsi dal nostro abbraccio… Ma nostro figlio non ha fatto nulla di tutto questo: semplicemente è rimasto pietrificato, spento, inerme.
Dormiva e basta, per ore e ore, continuamente. Ma la cosa più insopportabile era il fatto che non alzasse mai lo sguardo oltre la linea del suo ombelico (e un bimbo di 4 anni ha l’ombelico basso!). Il suo viso non accennava nessuna lieve smorfia espressiva, figurarsi un sorriso!

 Pazienza e presenza, la chiave del cambiamento verso una nuova vita di famiglia

Ok, come tutti, avevamo iniziato l’adozione pensando di arrivare in un orfanotrofio e trovare un bimbo felice di essere accolto, che si gettasse tra le nostre braccia salvifiche tutto euforico, ma anche senza arrivare a questo, la situazione che stavamo vivendo ci ha colto del tutto impreparati.
Per una settimana abbondante le abbiamo provate tutte e, disperati, più volte abbiamo chiamato in Italia la nostra psicologa che ci diceva di essere forti e continuare: “Siate lì, accanto a lui, e basta. Prima o poi succederà qualcosa di magico”.
Le ore e i giorni passavano interminabili, ma, poi, così è stato! Non ricordiamo neanche cosa sia successo davvero, nonostante fossimo lì unicamente in attesa che lui sollevasse gli occhi verso di noi. Non sappiamo come sia avvenuto il cambiamento: sappiamo solo che a un certo punto i suoi occhietti, che prima sembravano vuoti e inespressivi, ci hanno fissato. Si sono rivolti a noi e ci hanno guardato profondamente, dentro, con una scintilla che aveva un significato: “Allora siete ancora qui, accanto a me, nonostante tutto?” Lentamente e per gradi abbiamo superato tante altre piccole prove cui pareva sottoporci, inconsciamente, per capire se “ci stavamo davvero”, in questa nuova relazione. Ma quegli occhietti vuoti e tristi hanno iniziato a mostrarsi per quello che, oggi, sono veramente: occhi pieni di speranza e pronti a vedere, con noi, il mondo da un altro punto di vista, quello di un bambino amato dalla sua famiglia.