Primo maggio: festa del lavoro ma non per 3 milioni di NEET

Non solo figli che non nascono, ma anche milioni di giovani che non lavorano e non studiano. La festa dei lavoratori del primo maggio dovrebbe mettere al centro il futuro dei nostri giovani

Le origini della festa del Primo Maggio affondano nella storia di fine Ottocento. Precisamente nel 1886, quando, agli inizi di maggio, una serie di scioperi organizzati a Chicago per chiedere la settimana lavorativa di 8 ore finirono in tragedia, con diversi morti tra i manifestanti così come tra i poliziotti.
Pochi anni dopo, nel 1889, a Parigi venne ufficialmente istituita la Festa dei lavoratori, che ancora oggi è una giornata di festa nazionale in tanti Paesi del mondo.

Il primo maggio, oggi

Certo, però, le condizioni del lavoro e della società di oggi sono lontanissime da quelle del periodo in cui nacque la ricorrenza e se allora il Primo Maggio era l’occasione per rivendicare maggiori diritti dei lavoratori, oggi, che su quel versante di passi avanti ne sono stati fatti moltissimi (per quanto ancora ce ne siano da fare), il “focus” dovrebbe essere diverso.
In che senso lo spiega molto bene Rinaldo Gianola in un articolo su TPI (The Post Internazionale), dove propone di mettere al centro del Primo Maggio l’attenzione verso il futuro dei giovani. Scrive Gianola: “Tutto – il lavoro, lo studio, le passioni, le aspirazioni – dovrebbe essere declinato guardando alle nuove generazioni. Se un Paese non investe sui giovani, non li valorizza, non li aiuta a crescere, a diventare cittadini del mondo, allora non va da nessuna parte”.
Difficile non dare ragione al giornalista e scrittore, specie quando ricorda come, oggi, ci siano circa 3 milioni di ragazzi che non studiano, non lavorano e restano al di fuori del mercato del lavoro. Sono i cosiddetti Neet (Not in education employment or training): giovani che rimangono come incastrati tra una demotivazione personale e un’offerta lavorativa che per chi è agli inizi offre lavoretti precari, stage non retribuiti e, in generale, poca trasparenza.

Sempre meno giovani e sempre meno attenzione al loro futuro

In Europa, sottolinea Gianola, tanti Paesi provano a sperimentare opzioni di lavoro più stabili, mentre in Italia si continua a non vedere nulla di nuovo su questo fronte. Così, il futuro appare fosco, anche solo pensando al fatto che il prossimo anno scolastico vedrà qualcosa come 130 mila studenti in meno sedersi sui banchi, in una crisi demografica a cui si associa una proposta formativa che forse non è più in linea con i tempi e con le esigenze del mondo del lavoro di oggi.
Il problema è sicuramente complesso e chiama in causa moltissimi fattori, ma l’impressione è che la prima esigenza da cui si debba ripartire è quella di guardare ai giovani come a una risorsa da tutelare e su cui puntare, aiutando le famiglie a offrire un futuro possibile e migliore ai loro figli. Che sono i figli dell’Italia tutta.