Richieste di asilo. Nel “decreto Minniti”, procedure più veloci ma a caro prezzo per famiglie e minori. Al Senato il richiamo di Ai.Bi. sui diritti e la giusta accoglienza

senatoTempi più rapidi per le richieste di asilo, ma a quale prezzo? Il disegno di legge 13, approvato il 17 febbraio, noto come “decreto Minniti”, istituisce misure per accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale, ma non sempre lo fa nel rispetto dei diritti dei migranti e in particolare dei minori. Il punto di vista di Amici dei Bambini in merito è stato espresso, martedì 7 marzo, da Diego Moretti, responsabile della campagna Bambini in Alto Mare, nel corso di un’audizione svoltasi a Roma nell’ufficio di presidenza delle commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia del Senato.

Tra le varie misure contenute nel ddl, vi è l’istituzione, nei Tribunali ordinari, di sezioni specializzate che si occuperanno della valutazione delle richieste di asilo politico presentate dai migranti che arrivano in Italia. Una novità resa necessaria dal crescente numero di domande di asilo che ha reso insufficienti le Commissioni Territoriali che, fino a oggi, si occupavano di tali casi. Se questa è da considerare una novità positiva apportata dal decreto, molto più discutibile è la decisione di perseguire l’accelerazione dei tempi delle procedure anche attraverso l’eliminazione di uno dei 3 gradi di giudizio previsti, come in generale avviene nella giustizia italiana, per i procedimenti relativi alle richieste di asilo. In caso di rigetto della domanda di asilo o di protezione internazionale, infatti, gli interessati possono presentare ricorso al Tribunale ma, contro la decisione del Tribunale è ammesso solo il ricorso in Cassazione. La cancellazione del secondo grado, infatti, è una scelta che non tutela pienamente il diritto di difesa e che la stessa Associazione Nazionale Magistrati ha definito irragionevole in un proprio comunicato. Soprattutto alla luce del fatto che nel nostro ordinamento processuale il doppio grado di merito è previsto anche per controversie civili di valore molto inferiore rispetto all’accertamento della sussistenza o meno, per il richiedente asilo, di un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani o eventi bellici in caso di rientro nel suo Paese di origine.  Non sono inoltre garantiti né l’udienza dinanzi ai giudici, né la sospensione della efficacia esecutiva delle decisioni impugnate, cosa tanto più negativa se si considera che l’esecuzione di provvedimenti che dispongono il rimpatrio, in attesa di poter effettivamente condurre le persone all’estero, può tradursi in una permanenza nei centri di accoglienza per il rimpatrio o in un regime di “detenzione”.

Altra novità introdotta dal ddl è quella che non rende più necessario, per chi è chiamato a decidere sulle domande di asilo, ascoltare direttamente il richiedente. Quest’ultimo potrà quindi trovarsi nella situazione di dover semplicemente attendere che il centro di accoglienza nel quale è ospitato riceva, via Pec, l’esito della valutazione della sua domanda. Circostanza che rischia di non fare altro che aumentare la percentuale già preoccupante – intorno al 30-35% – di migranti che fanno perdere le proprie tracce nel periodo durante il quale le istituzioni prendono in esame la loro richiesta di protezione.

Il ddl, inoltre, appare molto generico e non tiene conto delle diverse esigenze che caratterizzano un singolo migrante né prevedono un trattamento diverso per i nuclei familiari in cui siano presenti figli minori. Come ha evidenziato Moretti nel corso dell’audizione, Ai.Bi., in base alla propria esperienza, ha avuto modo di verificare che spesso un marito e una moglie richiedenti asilo, che non sempre riescono a documentare il matrimonio, hanno tempi ed esiti diversi per la valutazione delle rispettive domande. Nonostante costituiscano un unico nucleo famigliare e abbiano pertanto la stessa storia. Con la conseguenza non rara, quindi, che un figlio minore debba patire l’allontanamento di uno dei genitori, a cui il diritto di asilo sia stato negato.

“Per molti aspetti, dunque – commenta Moretti -, il “decreto Minniti” sembra andare nella direzione opposta a quella perseguita da Ai.Bi. con la sua campagna Bambini in Alto Mare. La quale ha, tra i suoi obiettivi, quelli di garantire unità e assistenza adeguata ai nuclei famigliari con minori e di accogliere i minori stessi in strutture idonee, caratterizzate da un ambiente famigliare, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 184/1983”.