Rotta Balcanica: l’ultima fermata della speranza. L’ intervista all’On. Brando Benifei

Lo scenario di fronte al quale ci siamo trovati è descrivibile con una parola: “disumano”. In questa frase la sintesi di quanto visto dalla  delegazione di europarlamentari guidata dall’On. Brando Benifei (Parlamentare europeo del PD) giunta nei campi profughi di Bihac in Bosnia.

Immagini di giovani riparati sotto una tenda, mentre fuori continua a scendere la neve. Immagini di uomini infreddoliti che tentano di trovare un po’ di calore avvolti in una coperta. Lo sguardo rivolto a terra, il volto tirato.

Sono i  migranti in transito sulla Rotta Balcanica. Un’umanità sospesa, in attesa nei campi profughi della zona di Bihac, a nord ovest della Bosnia.

Qui con il freddo le temperature possono scendere anche parecchi gradi sotto lo zero ma le tende che li accolgono non hanno riscaldamento e alcuni di loro si aggirano per il campo senza calzature, tra freddo, neve e fango. Affrontano viaggi dai contorni “disumani”  inseguendo il sogno di un futuro migliore.

Dove sono finiti i diritti? Dove si è nascosta la solidarietà?

Pochi giorni fa una delegazione di europarlamentari guidata dall’Onorevole Brando Benifei capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo, ha deciso di giungere fino a lì, per guardare con i propri occhi la reale condizione dei migranti in attesa nei campi profughi a Bihac e di Lipa in particolare.

Noi di Ai.Bi. news abbiamo intervistato l’Onorevole Benifei.

Il suo commento allo scenario che si è trovato di fronte è stato lapidario “disumano”.

Lo scopo della loro missione? Dare la massima evidenza pubblica a quanto sta accadendo, affinché non si possa più fare finta di niente.

Onorevole Benifei, nei giorni scorsi lei ha guidato una delegazione di europarlamentari al confine tra Croazia e Bosnia per verificare le reali condizioni dei migranti nei campi profughi a Bihac, può raccontarci cos’ha visto? Qual è la reale situazione?

Le aree che abbiamo visitato con i colleghi Alessandra Moretti, Pierfrancesco Majorino e Pietro Bartolo sono meglio conosciute come “la rotta balcanica” e rappresentano l’itinerario di transito di migliaia di migranti asiatici e mediorientali che tentano disperatamente di raggiungere l’Europa. Lo scenario di fronte al quale ci siamo trovati è descrivibile con una parola: “disumano”.

I campi profughi, in particolare quello di Lipa nella zona di Bihac, a Nord-Ovest della Bosnia, verso il confine con la Croazia, sono costituiti da tende non riscaldate, con forniture idriche limitate e servizi igienici inadeguati, e risentono in inverno di condizioni climatiche estremamente fredde, con temperature di decine di gradi sotto lo zero.

È in queste condizioni terribili che centinaia di persone sono costrette ad accamparsi in attesa di una risposta, sperando prima o poi di varcare il confine. Parliamo di persone, di storie, di famiglie e di diritti negati a due passi dai nostri confini. Una situazione inaccettabile, davanti alla quale noi europei non possiamo stare a guardare.

Le stime parlano di migliaia di migranti ospitati in campi iper affollati. Sono presenti anche famiglie e minori non accompagnati? Qual è la loro situazione?

I luoghi di accoglienza che abbiamo visitato sono colmi di giovani e minori spesso non accompagnati.

Ufficialmente, dopo che alla vigilia di Natale un incendio aveva devastato il campo di Lipa, i minori e le persone più fragili sono stati trasferiti altrove. Tuttavia, abbiamo comunque riscontrato la presenza di moltissimi giovani, i quali vivono in condizioni del tutto insicure e rischiano la vita quotidianamente. Anch’essi, infatti, si aggirano spesso privi di calzature e indumenti adeguati ad affrontare il gelo e sono quindi costretti a un continuo contatto col terreno coperto di neve o di fango.

Infine, numerosi ragazzi all’interno del campo ci sono parsi non maggiorenni, e il fatto che tanti siano privi di documenti certamente non aiuta ad averne la certezza.

Avete avuto alcune difficoltà a superare il confine con la Bosnia, secondo la polizia croata perché non vi sareste presentati ad un valico di confine regolare. Ci può raccontare cosa è successo?

Un altro obiettivo della nostra visita nelle “zone calde” del confine Croazia-Bosnia era quello di verificare personalmente la situazione nei pressi della foresta di Bojna, in territorio croato, dove da tempo vengono documentati maltrattamenti e respingimenti illegali di potenziali richiedenti asilo.

Ciò ci è però stato impedito dalla polizia croata, che ha posto in maniera del tutto arbitraria un nastro a segnalare un confine inesistente oltre il quale ci veniva chiesto di non andare.

È bene sottolineare che lo sconfinamento in territorio bosniaco non era nostra intenzione, né abbiamo tentato di farlo. Tuttavia, ci siamo comunque trovati davanti un cordone di forze dell’ordine armate che non ci ha permesso fisicamente di avvicinarci alla foresta.

La cosa impressionante è che il ministro dell’Interno croato ci ha accusati di voler sconfinare, quando le prove video e le telefonate fatte alle ambasciate mostrano esattamente l’opposto.

Tutto questo, tengo a ricordarlo, in territorio UE.

Quello che vediamo oggi non è un fenomeno imprevisto né straordinario, ma purtroppo una situazione che dura da anni. Quali sono, se ci sono, le responsabilità dell’Europa?

Questa situazione assurda che abbiamo potuto constatare, da una parte nei campi profughi e dall’altra nei pressi del confine tra Croazia e Bosnia, dimostra il fallimento delle politiche migratorie nazionali ma anche comunitarie, a partire dal Regolamento di Dublino, che pone tutto il peso sui Paesi di primo ingresso.

L’Europa e la comunità internazionale non si possono girare dall’altra parte, serve un cambiamento radicale di approccio e di politiche e noi lavoreremo per questo.

Il senso del nostro viaggio era quello di dare la massima evidenza pubblica a quanto sta accadendo, affinché non si possa più fare finta di niente. Lo dico anche perché di mezzo ci sono i soldi dei cittadini europei. Proprio Frontex, l’Agenzia europea che si occupa del controllo delle frontiere, viene pagata con i contributi degli Stati membri, quindi il tema non può che riguardarci da molto vicino.

Sui social lei ha commentato la situazione disumana davanti alla quale noi europei non possiamo stare a guardare. Ha parlato dell’esigenza di un cambiamento radicale di approccio e di politiche su questi temi. Quali azioni avete in mente di compiere?

 La solidarietà straordinaria e commovente degli operatori e delle associazioni umanitarie non può essere sufficiente, devono scendere in campo in modo serio gli Stati membri e l’Unione europea.

Serve una politica più vicina e attenta alle persone, che unisca corridoi umanitari per l’emergenza a soluzioni strutturali efficaci per la politica migratoria, per superare situazioni inaccettabili come questa una volta per tutte.

Come Parlamento europeo continueremo a batterci e crediamo sia importante organizzare altre visite di questo tipo, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica.

Al tempo stesso, come ho detto, lavoreremo per cambiare in sede europea la gestione dell’immigrazione. Dopo anni di tentativi, il 2021 deve essere l’anno giusto.

Un nuovo patto per la migrazione è stato già proposto dalla Commissione, ed è sicuramente un primo passo necessario per riformare Dublino.

Non possiamo creare un sistema emergenziale preda degli egoismi nazionalisti di turno, ma ci batteremo per una riforma strutturale e di lungo periodo. Per citare alcuni punti fondamentali di una revisione del Regolamento di Dublino, occorre permettere i movimenti secondari e costruire quote di solidarietà di ricollocazione obbligatoria. L’Unione europea non significa solo condividere le risorse, ma anche i problemi. Lo abbiamo visto con la pandemia, è tempo di farlo anche per difendere i diritti di persone che fuggono la loro terra con la speranza di un futuro migliore.

Maria Cristina Sabatini