Può essere “di successo” o piena di difficoltà. Ma ogni adozione è sempre un tornare a essere figli

Dopo la pubblicazione di una storia di adozione si è acceso un dibattito tra le famiglie che si sono riconosciute o meno nella vicenda. Uno scambio interessante, che ribadisce una volta di più come ogni adozione sia un percorso a sé, ma che sempre permette a bambine e bambini di tornare a essere figli

Domenica 21 luglio sul sito di AiBiNews abbiamo pubblicato una bella storia di adozione che ha suscitato un grande interesse e un conseguente dibattito. La storia è quella di una famiglia che, dieci anni fa, dopo aver già adottato un bambino dalla Colombia, ha adottato una bambina dalla Cina. L’articolo fa parte di una serie che racconta, a dieci anni di distanza, le adozioni avvenute dalla Cina, Paese che fino all’avvento del Covid è stato protagonista, con Ai.Bi., di decine di adozioni che vale la pena raccontare.
L’ultimo racconto, come si diceva, ha suscitato un grande dibattito: segno che il racconto è circolato molto, ha colpito e ha provocato differenti reazioni: c’è chi ha apprezzato la storia, chi si è riconosciuto e chi, al contrario, ha trovato qualcosa che, letto con gli occhi della propria vicenda personale, sembrava stonare.
È il caso, questo, di una e-mail che abbiano ricevuto in redazione da parte di una famiglia adottiva che non si è ritrovata in ciò che ha letto. La mail è molto gentile, ben argomentata e, soprattutto, espone un differente punto di vista che ha le sue ragioni. Per questo pensiamo che sia importante pubblicarla e, nel contempo, pubblicare anche la risposta che è stata inviata alla famiglia stessa dall’autrice dell’articolo in questione, nonché a suo volta madre adottiva proprio dalla Cina. (QUI ha raccontato la sua storia).

La lettera di una famiglia

Gentile Aibi,
sono una mamma adottiva. Mio marito e io abbiamo adottato due bambini quasi 22 anni fa.
Vi scrivo perché ho letto un vostro articolo, comparsomi su Google sul cellulare, che presentava una “adozione riuscita”, quella di due fratelli, adottati in Colombia lui e poi in Cina lei da una coppia campana.
Vi scrivo perché leggere l’articolo mi ha infastidito. Secondo me trasmette un messaggio fuorviante e anche ingiusto verso le tante coppie, la maggioranza, direi la norma, che amano i loro figli adottivi fragili, li sostengono nei loro “special needs” senza ottenere risultati strabilianti come quelli dei due ragazzi di cui all’articolo. Sono forse adozioni non riuscite? Riportate il concetto, secondo me trito, che l’amore può tutto. Non è così. L’amore è tutto ma non risolve tutto.
Vi presento il caso nostro. Mia figlia, adottata a 8 anni con un vissuto molto doloroso alle spalle e che non sapeva ancora leggere né’ scrivere. Percorso scolastico portato avanti con difficoltà. Non si è diplomata anche perché in adolescenza ha avuto una crisi molto forte che la ha fermata. Studiare era troppo per lei. Lavora come cameriera ai piani in un albergo.
Il fratello ha un grave disturbo del linguaggio. Non si è risolto. Ha preso con grande impegno e fatica un diploma scientifico. Ora lavora come magazziniere.
Non è forse riuscita la nostra adozione? Mio marito e io non abbiamo amato a sufficienza i nostri figli che non hanno avuto percorsi scolastici brillanti nonostante gli special needs?
Per concludere, ritengo che sia importante non illudere le coppie su quella che potrà essere la loro esperienza adottiva. Quando si troveranno in tanti a dover affrontare problemi di forte instabilità emotiva, rabbia, difficoltà scolastiche, ecc. potrebbero veramente pensare: “abbiamo fallito”.
L’intenzione di questo messaggio non vuole essere polemica, ma costruttiva.
Cordiali saluti.
(lettera firmata)

La risposta di Ai.Bi.

Cara signora,
grazie intanto per avere letto le notizie di AibiNews, per averci scritto e soprattutto per aver condiviso parte della vostra storia di adozione e di famiglia con noi.
Gli articoli che lei legge la domenica sono tratti da storie reali che contengono- come tutte le storie di adozione – fatiche, difficoltà e successi, non necessariamente scolastici.
Proprio sugli aspetti e lati positivi abbiamo scelto di soffermarci per raccontare al vasto pubblico la bellezza dell’adozione, il cui successo, a nostro modo di vedere, è determinato dal sentirsi finalmente e di nuovo figlio o figlia a pieno titolo.
Il successo di una d’adozione risiede nella gioia e nel diritto di essere figli.
L’amore che la famiglia sa donare a bambini e adolescenti, prima abbandonati poi tornati figli, è la conquista più grande che – ne siamo certi – è stata raggiunta anche dalla sua famiglia, al netto delle sofferenze e difficoltà.
Nell’articolo di domenica è emersa con prepotenza, se vuole, la gioia di una famiglia soddisfatta se si guarda indietro, quando tutto è cominciato per loro. I genitori non hanno mai nascosto i molti problemi che l’adozione di bambini grandicelli con problemi sanitari comporta – sono stati seguiti infatti dall’equipe di esperti di Ai.Bi. – ma per loro carattere e temperamento hanno espresso con enorme gioia gli aspetti positivi, che per loro sovrastano quelli più difficili.
Ci occupiamo di adozione internazionale da oltre 40 anni e sappiamo bene quante difficoltà e risorse le famiglie adottive debbano mettere in campo per il bene dei loro figli. Per questo in tutti i corsi di formazione vengono illustrati tutti i passaggi e tutti quegli aspetti così impegnativi che voi avete affrontato: le coppie che si rivolgono ad Ai.Bi. hanno consapevolezza delle risorse necessarie ed escono piuttosto dai corsi con molte domande, talvolta dubbi perché non sono certi di farcela. Illudere, mai, nessuno. Incoraggiare verso la bellezza dell’adozione, sempre.
La invitiamo a considerare questa come una delle tante storie di adozione. Se lei e suo marito siete d’accordo, saremmo felici di raccontare anche la vostra.
Francesca Mineo