genitore adottivo, come il Buon Pastore dà la vita per i propri figli

Sulle orme del Buon Pastore, il genitore adottivo non fugge davanti alle difficoltà, ma è pronto a dare la vita

Nella IV Domenica di Pasqua, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture degli Atti degli Apostoli (At 4,8-12), della Prima Lettera di San Giovanni Apostolo (1Gv 3,1-2) e dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)

genitore adottivo, come il Buon Pastore dà la vita per i propri figliTradizionalmente, la quarta domenica del tempo di Pasqua è dedicata alla giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Quest’anno, che è la cinquantacinquesima giornata, lo slogan che la accompagna è una parola del giovane re Salomone, nel libro primo dei Re (3,9): «donami un cuore che ascolta». È una preghiera, rivolta a Dio: dammi un cuore, e cioè rendi tutto me stesso, pensieri, affetti, intenzioni, azioni, nella mia totalità, capace di pormi in ascolto di te che mi parli.

Perché questa è ‘vocazione’: è chiamata, voce, appello e insieme risposta che nasce dall’ascolto.

Non dobbiamo dimenticare che questa è la struttura stessa della vita cristiana. La ‘vocazione’ non riguarda solo e anzitutto i presbiteri o i religiosi/e e i consacrati/e. No, riguarda ogni cristiano: la nostra esperienza cristiana è essenzialmente risposta ad una chiamata, compito che risponde ad un dono, cammino che risponde ad una voce, una parola di vita che affascina e ci attrae a sé.

Per questo noi celebriamo questa giornata nella quarta domenica di Pasqua, che è sempre caratterizzata dal vangelo del buon pastore, nei diversi brani del capitolo 10 del vangelo di Giovanni.

C’è un passaggio, nel Vangelo di oggi, in cui Gesù, buon pastore, dice: «ascolteranno la mia voce». Qui appare proprio evidente come la fede cristiana sia vocazione. E questo riguarda non solo i giovani, ma ciascuno di noi, anche chi è in età avanzata.

Ogni giorno della nostra vita è ‘vocazione’, perché in essa, in tanti modi, risuona una voce, un appello, che ci chiama, ci interpella.

Nessun cristiano fa la sua vita da sé, ma sempre a partire dagli appelli, dalle chiamate che gli rivolge la vita stessa, dalle grazie e dagli eventi, anche i più drammatici. In questi appelli della vita si rivela e, a volte, si nasconde l’appello di Dio.

Così possiamo dire che la vita di tutti gli uomini è ‘vocazione’, è appello, è chiamata, anche per coloro che non sanno che è Dio che chiama!

Nel Vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato poco fa, sono contenute alcune caratteristiche fondamentali della ‘chiamata’ di Gesù, che non possono mai mancare.

È una chiamata, la sua, nello stesso tempo personale e comunitaria. Gesù parla di ‘gregge’, di ‘recinto’.

Naturalmente, questo non significa affatto che un cristiano venga intruppato, entrando a far parte di un gruppo in cui tutti devono fare le stesse cose, come delle marionette nelle mani di un burattinaio o appunto come delle pecorelle che procedono sempre tutte insieme.

L’immagine del gregge dice che nessuno segue Gesù da solo. Seguire Lui, per ciascuno di noi, significa entrare a far parte di una comunità, che condivide l’ascolto di questa voce, si lascia radunare dalla stessa Parola.

L’immagine più grande e piena di questo ‘processo’ è proprio quando ci lasciamo convocare nella celebrazione dell’Eucarestia.

Non siamo delle persone che sono qui, per caso, ciascuna per conto suo … anche se talvolta viviamo proprio così l’Eucarestia o addirittura capita che gli altri ci diano fastidio o ci diano disturbo.

La fede cristiana è ‘ecclesiale’, non è un affare privato’, tra me e Gesù, e basta.

Nello stesso tempo questa chiamata è assolutamente personale. Quella voce, di Gesù, è rivolta proprio a me, nella mia unicità. È una voce che mi coinvolge, chiamandomi per nome.

Gesù dice: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore … così come il Padre conosce me».  Davanti al Signore non siamo dei numeri, non siamo degli anonimi, senza nome, senza volto, senza storia, senza vita. Anzi, è proprio nella nostra storia personale che il Signore ci offre i segni della sua chiamata.

Questa chiamata non è una ‘voce’ o una parola separata dalla vita, ma, al contrario, è ‘incarnata’ nella nostra storia, passa attraverso gli eventi di ogni giorno, le persone che incontriamo, i desideri che ci fanno nascere, le povertà e le necessità delle persone, vicine e lontane. Tutto ciò che ci colpisce è una ‘voce’ del Signore, è una chiamata che ci pro-voca.

Chiamandoci per nome, il buon pastore, Gesù, ci chiede anzitutto di riconoscere che quella è la ‘sua’ voce. Ci chiede di entrare in relazione con Lui, in dialogo con Lui, per conoscerlo sempre più.

Ancora nel Vangelo di oggi, Gesù stesso dice non solo che Lui «conosce» le sue pecore, ma anche: «le mie pecore conoscono me».

Noi lo possiamo conoscere solo perché Lui si fa conoscere, appunto entrando nella nostra vita come una ‘voce’ che ci chiama. Ci chiama anzitutto a entrare in dialogo con Lui.

Come possiamo scoprire le sue chiamate, se non ci lasciamo coinvolgere in un cammino di continua e progressiva scoperta di Lui, attraverso l’ascolto della sua voce che ci parla, dunque attraverso l’ascolto della sua Parola?

Quanti di noi, cristiani, ascoltiamo davvero questa Parola? La ascoltiamo davvero, quando ci è proclamata nell’Eucarestia, nella liturgia della Parola, adesso?

Abbiamo noi un momento della giornata in cui ci sediamo, ci mettiamo lì, con calma e ‘perdiamo tempo’ per la lettura e l’ascolto della Parola, o meglio ‘diamo tempo’ al Signore perché ci parli e perché noi lo possiamo ascoltare?

E non diciamo che ‘non abbiamo tempo’ per fare queste cose, perché queste cose le devono fare (solo) i preti, i frati, i monaci o le suore e le monache …

Non è così, perché la vita di ogni cristiano è ‘vocazione’.

Anzi, forse oggi le ‘vocazioni’ sacerdotali e religiose sono così poche, da noi, proprio perché pochissimi sono i cristiani che, ogni giorno, si siedono a pregare, ad ascoltare la voce che li chiama, li convoca nella comunità a dare il proprio contributo, a partecipare attivamente, alle celebrazioni, alle iniziative, di carità o di preghiera.

E che cosa succede quando noi entriamo in questo dialogo, sempre più intenso e profondo, con il Signore?

Succede che scopriamo … che Lui è il buon pastore e che questo pastore’ è buono perché «dà la propria vita per le pecore».

Non c’è nessun buonismo in questo buon pastore, cioè non c’è niente di ‘sdolcinato’ o di romanticheggiante o di sentimentalistico pseudo-consolatorio nella esperienza cristiana. Anzi, questa è la scoperta, sempre più profonda, che all’origine c’è un dono di amore, che è il dono di sé, che Gesù ci ha fatto, una volta per sempre, una volta per tutte, ogni volta per ciascuno!

Noi, ciascuno di noi, interessiamo profondamente al ‘buon pastore’.

Qui sta la differenza, come dice Gesù stesso, tra il pastore e il mercenario.

Al mercenario «le pecore non appartengono», non fanno parte della sua vita, non gli interessano. Così, nei pericoli, le abbandona. Al mercenario importa solo ‘salvare se stesso’, ‘la sua pelle’. «Non gli importa delle pecore».

Invece a Gesù importa di ciascuno di noi.

Questa è la scoperta meravigliosa che ciascuno di noi può fare, ogni giorno di più, se si lascia coinvolgere nel dialogo d’amore, con il buon pastore.

In questo dialogo con Lui, con Gesù, noi scopriamo il volto di Dio, che è Padre. Perché, come dice Gesù, Lui conosce ‘il Padre’, così come il Padre conosce lui.

Lasciandoci coinvolgere da Lui, entriamo nella relazione con il Padre che ama Gesù, che dà la vita per noi, perché ‘noi abbiamo in abbondanza la sua pienezza di vita.

Così anche noi, da veri credenti, potremo gustare la bellezza d’amare!