La storia di Mario: qual è la vera giustizia?

Un parto complicato, un figlio nato con gravi lesioni permanenti, una sentenza che scagiona l’ospedale e impone alla mamma di pagare 300mila euro di spese, pignorando la casa di accoglienza per disabili fondata nel frattempo. Una vicenda complicata che interroga tutti sul significato di “vera giustizia”

Albert Einstein diceva: “Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie ma per quelli che osservano senza fare nulla.”
È per questo che non si può restare indifferenti di fronte alla storia della Casa di Mario, recentemente raccontata da tanti giornali. Non si può rimanere indifferenti non per dare un giudizio sulla vicenda, che per chi non è direttamente coinvolto rimane sconosciuta nei sui dettagli anche dopo aver letto articoli e racconti, ma perché, ora che le cose sono andate in un certo modo, cercare di capire come sia possibile far convivere l’accettazione di una sentenza di tribunale motivata con il senso di ingiustizia che rimane presente in chiunque ascolti questa storia è importante per tutti.

La Casa di Mario

La vicenda, in breve, è piuttosto semplice: 34 anni fa la signora Elena era in una clinica di Roma per il parto. Le cose non andarono per il verso giusto e il bambino che nacque, Mario, rimase per sempre disabile, incapace di parlare, camminare, raggiungere una minima autonomia. Le perizie di parte, racconta l’inserto Specchio de La Stampa confermano ragionevolmente “il nesso tra il rapporto della sofferenza ipossico ischemica e l’assenza di ossigeno, con la condizione di Mario”, ma questo non basta per stabilire un nesso di negligenza con l’operato dei medici e della clinica. Dunque, dopo anni di battaglia legale, la sentenza certifica che Elena e Mario non hanno diritto ad alcun indennizzo; anzi, sono tenuti a pagare le spese legali che si aggirano intorno ai 300mila euro.
Solo che quei soldi Elena non ce li ha, e siccome, nel frattempo, la vita è andata avanti e la donna ha fondato la “Casa di Mario”, una struttura che accoglie persone con disabilità assicurando assistenza 24 ore su 24, le autorità pensano di eseguire la sentenza pignorando proprio questa struttura.
È a questo punto che Elena mette in atto uno sciopero della fame, richiamando così l’attenzione dei media e delle stesse autorità. Prova ne sai la recente visita della ministra per le disabilità Alessandra Locatelli proprio alla “Casa di Mario”.

L’impegno della politica

Elena, dopo 14 giorni di digiuno, ha interrotto lo sciopero della fame, consapevole di non potersi permettere di andare oltre, perché il figlio Mario ha bisogno di lei, come hanno bisogno dei genitori tutti quei figli per i quali da anni si dibatte sulla possibilità di una legge (che ancora non c’è!) per il “dopo di noi”, in modo da assicurare loro continuità di assistenza anche nel momento in cui non ci sarà più chi per una vita se ne è preso cura.
Perché il punto focale della vicenda, più volte sottolineato dalla stessa signora Elena, non è la sentenza e la decisione del tribunale (la donna ha ribadito più volte che cercherà di pagare le spese legali), ma è la sensazione che la giustizia sia stata… ingiusta. Che non si sia cercato di trovare una soluzione alternativa o si sia tenuto abbastanza conto della delicatezza della situazione, imponendo un pagamento che la clinica, da parte sua, continua a pretendere, senza accettare alcuna proposta alternativa se non la rateizzazione del debito.
L’iniziativa di Elena è servita ad accendere i riflettori su qualcosa di cui la politica non può non interessarsi, come la stessa Ministra Locatelli ha confermato:” La giustizia può anche aver fatto il suo corso – ha dichiarato a La Nazione – noi mettiamo in dubbio l’umanità e la disponibilità delle persone a valutare da un altro punto di vista le cose e trovare un punto di raccordo. È già partito il tavolo per la riforma della legge 112 e una delle cose che abbiamo chiesto è che diventi un durante e dopo di noi.”