Yulia, in fuga da Kiev. “In Italia abbiamo ritrovato il sorriso grazie ad Ai.Bi”

Fuggita all’improvviso, allo scoppio della guerra, Yulia, dopo un viaggio di 4 giorni, è stata accolta in Italia, da una famiglia della rete di accoglienza di Ai.Bi., insieme a una sua amica e i loro figli. Ma in Ucraina ha lasciato i parenti e tutto il resto della sua vita

Yulia è uscita di casa, lo scorso febbraio, con un piccolo trolley e qualche ricambio per sé e i suoi figli di 12 e 14 anni, per andare a far visita a sua madre, a Vinnytsia. Qualche giorno insieme alla nonna è sempre un regalo per ogni nipote. Soprattutto se intorno a te tutti cominciano a parlare di guerra.
A Kiev cominciava a crescere la tensione, l’aria stava diventando pesante ma nessuno della sua famiglia, tantomeno Yulia, avrebbe immaginato che quel giorno avrebbe chiuso la porta di casa per molto tempo. Senza sapere quando farvi ritorno. Nessuno si immaginava una escalation militare tanto repentina e distruttiva.

La sorpresa prima della fuga e l’accoglienza in Italia

“All’inizio non sapevo cosa fare – dice Yulia, vedova da una decina di anni – poi ho pensato di fermarmi da mia madre, nella speranza che tutto si sarebbe risolto in poco tempo. Non è andata così. Abbiamo capito che dovevamo scappare e che non potevamo certo tornare a Kiev”.
L’Italia è stata la sua destinazione di fuga e di salvezza. Con lei è partita anche una sua compagna di scuola e i suoi due figli di 6 e 12 anni.
Yulia parla un italiano perfetto perché ha lavorato per oltre 15 anni come referente per le adozioni internazionali per l’ente Crescere Insieme. Ha conosciuto tante famiglie italiane che hanno accolto figli oggi ormai cresciuti. Grazie all’amicizia tenuta viva con colleghi italiani, in poco tempo è arrivata l’offerta di aiuto e di un alloggio ad Arona.
E così Yulia lo scorso 5 marzo si è messa alla guida della sua auto e ha cominciato a macinare chilometri.
Le frontiere che ha attraversato prima di entrare in Italia la separavano a poco a poco da tutto quello che era stato, fino a quel momento: una vita come quella di tutti, scuola dei figli, lavoro, amici. In pochi giorni anche Yulia ha conosciuto il senso di un esodo senza precedenti, che ad oggi interessa circa 3 milioni di ucraini, in fuga dal loro paese verso i paesi confinanti.
Arrivata in prossimità della Moldova l’auto di Yulia ha atteso 5 ore prima di varcare la frontiera; per attraversare poi il confine con la Romania sono state necessarie 9 ore ed era ormai notte fonda quando Yulia si è avvicinata all’Ungheria.
“È stata la frontiera più complicata – ricorda – per quanto molti volontari aiutassero i profughi con la distribuzione di pasti caldi e di tutto ciò che potessero aver bisogno per il viaggio, ci hanno chiesto i passaporti e in totale abbiamo atteso 12 ore prima che ne tornassimo in possesso”.
Dopo l’Ungheria le ultime due dogane: Austria e finalmente Italia. “Non abbiamo avuto alcun problema, dopo l’Ungheria – dice Yulia – e devo ammettere che a noi è andata molto bene: in 4 giorni siamo arrivati in Italia, con un tetto sulla testa e una calda accoglienza”.

L’accoglienza in Italia e la speranza di un nuovo futuro

Oggi, Yulia, la sua amica e i rispettivi figli si trovano ad Arona, ospiti in un alloggio offerto da una famiglia di Amici dei Bambini.
Il racconto sereno per l’accoglienza ricevuta si oscura al pensiero di aver lasciato la mamma in Ucraina, mentre il fratello e il nipote di 20 anni sono stati arruolati nelle unità di difesa territoriale. “Per ora si trovano in zone relativamente tranquille ma è chiaro che siamo molto preoccupati”.
In questi giorni Yulia e i suoi figli si stanno organizzando per ricevere dal Comune di Arona codice fiscale e tessera sanitaria, per trovare la possibilità di inserire a scuola i figli, di frequentare il campo sportivo e giocare a calcio. La Caritas locale l’ha rifornita di capi di abbigliamento e la famiglia che l’ha ospitata non le fa mancare nulla, soprattutto amicizia, affetto e vicinanza.
“Certo sì, vorrei tornare presto a casa mia” conclude in un sospiro Yulia. Senza aggiungere altro perché la speranza, in questi giorni, è ancora fragile.

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