Adozioni internazionali: le segnalazioni anonime possono veramente ridurre la piaga dei pagamenti in nero?

Buongiorno Ai.Bi.,

leggo spesso sul vostro sito le notizie relative al problema dei pagamenti effettuati con contanti versati in nero dalle coppie che vogliono adottare. Ritengo sia una pratica assolutamente disdicevole che mina alla base la credibilità dell’adozione internazionale. E gli effetti si vedono: le coppie che vogliono adottare sono sempre meno. Leggendo un vostro articolo di qualche giorno fa, mi ha colpito particolarmente la proposta scaturita dalla conferenza de L’Aja di metà giugno in cui si prospettava l’ipotesi di permettere ai genitori adottivi di segnalare, anche in forma anonima, eventuali irregolarità a cui assistono. Secondo voi è una strada effettivamente praticabile? Le autorità competenti sarebbero poi davvero in grado di verificare la corretta del comportamento degli enti?

Grazie,

Carlo

 

 

 

CRINO-2Buongiorno Carlo,

 

la sua proposta è senz’altro di buon senso, talmente di buon senso che già adesso sarebbe praticabile. Poiché però siamo in Italia: mentre le norme e i codici continuano a ripeterci che viviamo nel migliore dei mondi possibili, nella realtà qualcosa continua a non funzionare.

 

Provo a spiegarmi.

Il DPR 108/2007 ha rafforzato i poteri di vigilanza e controllo della Commissione Adozioni Internazionali, che da allora può esaminare e accogliere segnalazioni e istanze da parte di Tribunali, Enti, Associazioni nonché singole coppie (art. 6 c.1 lett. m; art.15 c.1; art. 16 c.1 lett. c). Già oggi quindi una segnalazione anche anonima, ma con sufficienti elementi di attendibilità, potrebbe essere utilizzata dalla CAI per effettuare le necessarie verifiche sull’operato degli Enti Autorizzati.

 

Passando però dalle norme alla realtà ecco i problemi.

Di norma, la CAI non ha mai dato comunicazione delle verifiche in corso, ma rende note le delibere di Commissione con cui vengono decise sanzioni nei confronti degli Enti per i quali la verifica abbia evidenziato mancanze, di qualsiasi tipo esse siano.

Non possiamo quindi sapere se nel passato la CAI abbia avviato verifiche in merito alla correttezza degli Enti in Italia o all’estero, non sappiamo neppure quali siano stati le principali aree sottoposte a verifica (tracciabilità dei flussi finanziari, organizzazione all’estero, completezza delle informazioni alle coppie, ecc.) fino a ora né quali aspetti la CAI ritenga più significativi per contrastare in futuro eventuali irregolarità nell’azione degli Enti.

Quando poi una verifica porta a una qualche sanzione, e quindi diventa nota, ecco che TAR e ricorsi fanno il loro ingresso in scena ritardando, complicando e alla fine, dopo anni, spesso annullando le sanzioni stabilite dalla CAI.

 

Escludendo l’ipotesi di rassegnarsi, due proposte.

La prima. Sarebbe interessante, e soprattutto molto più trasparente, che la CAI desse conto periodicamente delle attività di verifica svolte, visto che costituiscono uno dei suoi compiti fondamentali, e indicasse su quali ambiti si è concentrata e intende concentrarsi in futuro. La CAI dia annualmente e pubblicamente conto delle attività di verifica e controllo sugli Enti effettuate nell’anno precedente e di che controlli ritenga prioritari per i successivi 12 mesi. Si tratta di un compito che la legge le assegna e, come cittadini e contribuenti, abbiamo tutti il diritto di sapere quanto è stato fatto e che cosa si intende fare. Nel mondo anglosassone questo tipo di rendiconto è normale per qualsiasi autorità o commissione. Per noi sarebbe un grande passo avanti.

La seconda. Nell’immane opera di riforma della giustizia, in cui si cerca, almeno a parole, di rendere certa o  breve qualsiasi cosa, il governo non dimentichi le adozioni internazionali. Se i (pochi) provvedimenti della CAI nei confronti degli Enti restano incerti e sospesi per anni o lustri, comportarsi in modo corretto e trasparente sarà presto il privilegio dei fessi.

Grazie per le proposte,

 

Antonio Crinò

Direttore generale di Ai.Bi.