Gli apostoli vogliono impedire che un tale non appartenente al loro gruppo scacci i demoni nel nome di Gesù, ma Egli dice loro di non farlo, ben sapendo che l’atteggiamento degli apostoli è motivato sostanzialmente da una forma di gelosia. Da questo episodio del Vangelo di Marco (Mc 9,38-43.45.47-48), prende spunto la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Ai.Bi. – Amici dei Bambini e de “La Pietra Scartata”, per domenica 27 settembre.
Prima Lettura Nm 11,25-29 Dal libro dei Numeri
In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito.
Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento.
Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».
Seconda Lettura Gc 5,1-6Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!
Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente.
Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage.
Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
Vangelo Mc 9,38-43.45.47-48 Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
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Il Vangelo di oggi comincia con una protesta, un po’ rancorosa, che i discepoli manifestano a Gesù. Si lamentano, con lui, perché hanno visto «uno che scacciava demoni nel tuo nome» e – questo è il punto! – volevano «impedirglielo», aggiungono, perché «non ci seguiva».
Il testo del Vangelo non si addentra nei particolari. Però mi pare chiaro che anche oggi, ancora una volta, i discepoli non fanno una bella figura.
C’è una chiusura, nelle loro parole, e ancor più c’è gelosia, invidia e infine quasi la pretesa di un monopolio nei confronti di Gesù o almeno una voluta esclusione nei confronti di tutti coloro che non fanno parte del loro gruppo.
Si arrogano loro il diritto di giudicare chi può fare e che cosa può fare, chi è dentro e chi è fuori.
«Non ci seguiva», dicono. Non dicono: “non ti seguiva”. Non sono preoccupati, questi discepoli, che quell’uomo sconosciuto che faceva del bene nel nome di Gesù, non seguisse il Maestro.
In ogni caso, questa non è la loro preoccupazione principale. No. Erano preoccupati che non facesse parte del loro gruppo.
In qualche modo quell’uomo poteva nuocere alla loro immagine e al loro potere. Questa gelosia arriva al punto che non vedono nemmeno il bene che fa quell’uomo – scacciava i demoni e dunque liberava chi era oppresso dal male, restituendo libertà –. È una logica gretta, meschina, molto miope, da poveri uomini.
Un episodio simile è raccontato nella prima lettura, dal libro dei Numeri. Settanta anziani ricevono parte dello spirito di Mosè. Ma due di loro erano rimasti nell’accampamento, lontano dalla tenda del Convegno, dove era custodita l’arca dell’alleanza.
Contro questi due, che si mettono a profetizzare nell’accampamento, si scaglia l’ira di Giosuè: «Mosè, mio Signore, impediscili». E Mosè gli risponde: «sei tu geloso per me?».
Vedete, anche qui c’è una gelosia, un malinteso senso di appartenenza, che diventa chiusura e intolleranza verso chi “non è dei nostri”.
È facile trovare questi rischi e queste tentazioni in tutte le comunità che hanno un forte senso di identità e di appartenenza.
È facile che anche molte comunità cristiane, magari senza accorgersene, scivolino lentamente in questo gravissimo difetto. È un rischio che ci riguarda sia come comunità sia come singoli.
A volte, anche come Chiesa, pensiamo che chi non è con noi è “cattivo”, non può fare del bene. E quindi cadiamo nell’arroganza e nella presunzione.
Perché chi è intollerante è sempre presuntuoso, e viceversa: presume di sé, si crede molto di più di quello che è. “Gli altri – così dice – sbagliano tutti e sempre. Io solo so come stanno le cose”.
Questo è un atteggiamento che può insidiare molte comunità. Ma è molto facile anche nelle persone, dentro una stessa comunità. Così, quando riusciamo a conquistare una posizione, quando svolgiamo un incarico o un “servizio”, più importante del “servizio” diventa che lo facciamo noi, perché solo noi pensiamo di farlo bene. Quindi diciamo di fare per gli altri quello che in realtà facciamo per noi stessi! Da qui, poi, in una comunità nascono le liti, le divisioni, le fazioni, le gelosie, i pettegolezzi, le maldicenze.
Anche la lettera di Giacomo mette in rilievo un rischio che riguarda le relazioni umane e in particolare quelli che l’apostolo stesso chiama i «ricchi».
In modo molto duro, l’apostolo rivolge loro una forte minaccia: «piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!».
Però dobbiamo fare attenzione: Giacomo non disprezza le ricchezze e i beni della terra. Critica, piuttosto, chi le accumula in modo ingiusto e si arricchisce alle spalle del lavoro degli altri.
È una tentazione di allora e anche di oggi. «Ecco, il salario dei lavoratori … che voi non avete pagato, grida». Questo grido è arrivato, dice l’apostolo, fino «alle orecchie del Signore onnipotente».
La Parola di Dio, qui, ci mette in guardia dall’illusione e dalla trappola delle comodità e del benessere, che ci porta a vivere senza giustizia e a dimenticare i poveri!
Dobbiamo fare qui un forte esame di coscienza, come singoli e come comunità cristiana. La tentazione è sempre quella di concentrarsi talmente su noi stessi, che dimentichiamo l’altro …
Tornando al Vangelo, ai discepoli che si lamentavano e “difendevano” se stessi, Gesù risponde: «non glielo impedite». E poi apre gli occhi dei suoi discepoli, che erano tutti concentrati su di sé.
«Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me!». E poi: «chi non è contro di noi è per noi!». Così Gesù rimette le cose al loro giusto posto. L’essenziale è il rapporto con lui. È questo che ci fa gruppo e comunità. Fare un miracolo nel suo nome significa riconoscere che il bene che compiamo non è merito nostro, ma è opera sua. Certo, siamo noi che lo compiamo e senza di noi questo bene non si realizzerebbe. Però è lui che lo compie, grazie a noi. È lui il protagonista. È lui al centro di tutto.
Analogamente, nella prima lettura, Mosè diceva: «fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo Spirito!». È lo Spirito che opera in noi, nel nome di Gesù.
Gesù aggiunge che chi darà anche solo «un bicchiere d’acqua» nel suo nome «non perderà la sua ricompensa». Si rivolge qui ai discepoli e quindi parla di chi fa questo piccolo gesto a loro, perché sono dei suoi. Ma questa parola vale per i tanti piccoli gesti di bene che noi possiamo fare nei confronti di chiunque, anche verso chi non è «di Cristo».
Questa è una parola straordinaria. Nessun gesto di bene, nemmeno il più piccolo, nessuna opera buona, neppure la più sconosciuta e invisibile, rimane nascosta agli occhi di Dio.
Alla fine, rimarrà l’amore.
Allora, anche noi apriamo gli occhi. Impariamo ad apprezzare il bene compiuto dagli altri, da coloro che non appartengono alle nostre comunità e, nelle nostre comunità, a coloro che non appartengono al nostro gruppo!
Lasciamo che lo Spirito del Signore agisca, nella sua libertà!
Non pretendiamo di essere noi i padroni dello Spirito!
Impariamo ad essere più accoglienti e giusti!
L’ultima parola del Vangelo odierno ci mette in guardia dal gravissimo rischio dello scandalo.
Letteralmente, in modo un po’ diverso dal nostro modo di pensare, lo “scandalo” nel Vangelo è tutto ciò che diventa una difficoltà, un inciampo, un pericolo per la fede dell’altro.
Anche qui Gesù ci mette in guardia dal rischio che, nelle nostre comunità, invece che stimolo a compiere il bene, noi diventiamo “scandalo” per gli altri.
Con le nostre parole, con le nostre azioni, con i nostri silenzi, con le nostre omissioni, a volte noi possiamo davvero diventare un ostacolo nel cammino di fede degli altri.
Gesù è durissimo con chi provoca scandali. Dice che è preferibile perdere una mano, un piede, un occhio, piuttosto che scandalizzare l’altro e la sua fede. «Chi scandalizza uno solo di questi piccoli che credono in me …».
Nella comunità cristiana dovremmo imparare ad essere sostegno gli uni per gli altri. Sostegno, non scandalo.
Questo non significa che dobbiamo pretendere di essere perfetti e che non possiamo mai sbagliare, ma che, anche quado sbagliamo, ritorniamo con fiducia a lui, il Signore.
È lui il centro, è in lui che noi crediamo, è di lui che noi ci fidiamo. Non di noi stessi e delle nostre opere.
E proprio perché ci fidiamo di lui, nella nostra vita chiediamo di poter essere un piccolo segno e una visibile testimonianza della sua grazia.
È il suo amore per noi che ci dona di camminare con fiducia e forza, al di là delle nostre debolezze, per donare agli altri il bene che abbiamo ricevuto per noi.