Il Sostegno a Distanza, attività di cooperazione internazionale, non mero strumento di raccolta fondi

Diventato strumento per esercitare il coraggio, osare, costruire ponti di relazioni e reciprocità, il SAD è oggi orfano di una legge e di un Ministero che ne riconoscano pienamente la sua identità, fatta, prima di tutto, di relazione umana

A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, il mondo è cambiato e anche il modo di concepire la solidarietà. Nella “prima ondata” l’unione umana ha raccontato un Paese, un mondo, capaci di scoprire e rendere manifesto il bisogno e il desiderio di stare insieme: disegni, arcobaleni, eventi sui balconi, musica dai tetti. Le frecce tricolore hanno attraversato l’Italia. Forte era il senso del richiamo al patriottismo. Il governo ha rilanciato il Made in Italy. Si sono costruiti ponti ideali. È tornati in auge persino il ponte sullo stretto di Messina e l’idea di impegni strutturali in favore della dorsale appenninica. Grandi opere. Grandi sentimenti. Una “scoperta” del nuovo che avanza.

Intanto con Ai.Bi. abbiamo proseguito tenacemente e con pazienza la nostra missione. Nell’ambito del programma CONTINUIAMO DAI BAMBINI abbiamo voluto intensificare gli sforzi in favore dell’infanzia abbandonata, al momento ancora incalcolabile, avendo purtroppo a disposizione solo stime numeriche. Molto è stato fatto, proseguendo, nonostante la crisi, con i progetti, dalla Siria all’Italia. Un filo rosso ha legato la catena degli interventi. Il Sostegno a Distanza (SAD): un metodo di cooperazione e di educazione alla cittadinanza globale che con difficoltà viene riconosciuto con la dovuta dignità. In più occasioni il suo valore come generatore di capitale sociale è stato ricordato da voci autorevoli: si pensi in particolare al Professor Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali.

Nonostante il SAD sia per molte realtà, piccole, medie, grandi, di matrice latina o anglosassone, un  canale di  comunicazione e di  aiuti,  è ad oggi orfano di una legge e di un Ministero che ne riconoscano pienamente la sua identità e il suo abito italiano, fatto, prima di tutto, di relazione umana, di partecipazione dignitosa, compassionevole e rispettosa dei drammi del mondo. Una risposta di sviluppo in cui la componente economica, sebbene essenziale, resta priva di significato se non accompagnata da una dimensione di reciprocità. Abbiamo portato il tema ai tanti governi dell’ultimo decennio. E speriamo sia ora giunto il momento per il grande passo. Non più rimandabile, essendosi gli entusiasmi sempre più affievoliti e aumentate le divisioni e le solitudini cui anche attraverso il SAD possiamo dare risposte strutturali.

Con la Didattica a Distanza, coinvolgere i ragazzi in Italia sui temi della pace e della guerra di Idlib, come sui temi della povertà educativa in Campania o delle aree interne in Abruzzo, ha significato renderli consapevoli che il mondo è dentro la propria casa. Lavorare con i giovani in una logica di apprendimento permanente, sforzarci di coinvolgere le comunità di appartenenza, contribuisce a generare un cambiamento interno al nostro Paese, nella consapevolezza che siamo tutti una famiglia umana. Il SAD interseca la sua strada con varie problematiche, che vanno dalla questione di genere, all’empowerment dei territori, al protagonismo delle donne, all’urgenza di interventi tempestivi in campo formativo, sanitario, dalla povertà economica a quella educativa. In ognuna di queste e in tante altre questioni, dal clima all’inclusione, dalle emarginazioni nelle periferie all’accesso al digitale, restano – sempre e comunque- le bambine, i bambini, adolescenti e giovani i primi su cui si risentono gli effetti delle politiche, nefasti o benefici che siano. Per questa e tante altre ragioni, urge una strategia per l’infanzia non più rimandabile. In questo contesto il SAD diventa strumento per esercitare il coraggio, osare, costruire ponti di relazioni e reciprocità. Occorre però che il SAD sia considerato, appunto, anche  a livello normativo, un metodo di cooperazione e non un mero strumento di raccolta fondi. Occorre, altrettanto, che in tale ottica si apprenda lo stile di una comunicazione etica, capace di raccontare la concretezza degli eventi.

Il nostro lavoro costante è orientato affinché la comunità educante tutta – associazioni, istituzioni, scuole, famiglie – realizzi un nuovo patto e impari a collaborare.  La sentenza della Corte Costituzionale n°131 del 26 giugno 2020 nel campo della coprogrammazione e la coprogettazione segna un passo culturale straordinario, essendo considerata titolare del bene comune non più solo la pubblica amministrazione ma anche il terzo settore. Potrà il SAD entrare a pieno titolo in questi processi di nuova generatività sociale o resterà ancora orfano tra gli orfani di quei diritti che esso stesso vorrebbe tutelare?

                                                            Marzia Masiello