La morte dei bambini in guerra. Come parlarne ai nostri figli?

bambino tv 200La cronaca che spaventa. Accendere la televisione rischia ogni giorno di mostrare ai piccoli di casa un mondo violento, dove la morte riguarda non solo persone anziane, ma anche mamme, papà, adolescenti e bambini. Vanessa Niri, coordinatrice pedagogica, in un articolo pubblicato su Wired.it dà qualche suggerimento ai genitori.

Scrive: «Uno qualsiasi dei nostri figli che, a cena, guardasse con i propri genitori il telegiornale, potrebbe avere la percezione che essere bambini sia diventato un mestiere molto pericoloso». Dalla sua esperienza nelle scuole la Niri racconta che i bambini hanno un concetto ben chiaro a cui tenersi aggrappati: sono i vecchi, che muoiono.

E aggiunge: “Spesso mi capita di essere informata puntigliosamente da qualche bambino sulla morte di qualche nonno, di qualche vecchio zio, del gatto o del criceto. E, a questa triste descrizione, quasi sempre segue una rassicurazione, che il bimbo si sente di dover fare dopo aver toccato un argomento così delicato: “Ma è morto perché era vecchio”.

E osserva. «Certo, noi adulti sappiamo che è falso. Ma, se noi per primi, fatichiamo un’intera vita a fare i conti con l’accettazione della morte, perché la paura dovrebbe diventare un’inquietudine incombente per un bambino di tre, quattro, cinque, sei anni?». Ma al tempo stesso- osserva la pedagogista- la morte non dev’essere un tabù. Per questo il consiglio è: «quando arriverà il momento delle domande, -Perché si muore?, ogni genitore dovrà fare un bel respiro profondo e dare la risposta che meglio crede al proprio figlio».

Riguardo alle immagini violente che passano in tv, la Neri suggerisce agli adulti di spegnere il televisore e magari. Se si vuole mettere a conoscenza i bambini della realtà e della cronaca, basta raccontarlo. E poi educarli a un’ empatia solidale. Perché quelle tragedie, anche se lontane, ci riguardano. E se per i morti, non si può che pregare, per i vivi si può e si deve fare tutto il possibile.

Di qui la proposta di  «Partecipare con i bambini alle raccolte di medicinali, alimentari, giocattoli, da spedire a quella parte di mondo in cui sono i più piccoli a subire le conseguenze delle guerre degli adulti».

Osserva ancora la pedagogista: «Avere la dolorosa coscienza che gli antibiotici che stiamo inviando serviranno soltanto a chi ce l’ha fatta, sapere che ci sono bambini per cui non possiamo fare più nulla, è faccenda da adulti. Per i nostri figli, invece, è importante sapere che con il loro aiuto – anche solo con un loro disegno – stanno rendendo più felici bambini come loro: bambini vivi, anche se molto più sfortunati».

Fonte Wired.it