L’adulterio della provetta: la differenza fra eterologa e adozione

 eterologaQuali contraddizioni comporta la fecondazione eterologa? A quali problemi va incontro una coppia che sceglie questa strada per “riparare” alla propria sterilità? Come si sente un padre che si trova a dover crescere un figlio alla cui “produzione” ha fatto solo da spettatore? Se lo chiede Francesco Agnoli nella sua riflessione pubblicata sul quotidiano “Il Foglio” giovedì 21 agosto e che riportiamo di seguito integralmente.

 

Fallito il tentativo del ministro Beatrice Lorenzin di mettere almeno alcuni paletti all’inevitabile caos che può derivare dalla sentenza della Consulta che introduce l’eterologa in Italia, la palla passa alle Camere e, speriamo, anche al paese. È troppo importante che si apra un vero dibattito e si comprenda un po’ meglio quali abissi si aprirebbero procedendo in questa dissennata distruzione dell’ordine naturale. Verrebbe da chiedere, in prima battuta: siamo sicuri che quel figlio che si desidera “produrre” con seme o ovociti di un terzo estraneo non sarà un domani condannato a farvi soffrire e a soffrire lui stesso?

 

A dirlo è addirittura un celebre alfiere della fecondazione artificiale, il professor Carlo Flamigni. Nel 2002, nel suo “La procreazione assistita”, scriveva: “Molto importanti e degni di attenzione sono i riferimenti alle risonanze negative che la donazione di gameti può far nascere sia nel padre che nella coppia”. Immaginiamo il caso in cui a essere sterile sia il maschio. Osserviamo la coppia: entrambi desiderano un figlio, ma non in ugual misura; uno vorrebbe attendere e provare ancora per via naturale, l’altra incalza, sino a ottenere ciò che vuole, spesso per sfinimento del compagno. Il quale si sente in qualche modo “colpevole”, e finisce per credere che il cedere riporti la tranquillità. Con il seme di un altro uomo nascerà un “figlio” che non è nato da un rapporto tra l’uomo e la donna, da una vera reciprocità, ma da un gesto da cui uno dei due partner è stato escluso. Immaginiamo le prime liti tra moglie e marito, magari proprio a causa dell’educazione del figlio divenuto adolescente: è difficile capire che il padre si sentirà in molti momenti “secondario”, e che di fronte a una tensione con la madre, ella dimostrerà di sentirsi l’unica vera genitrice, mentre lui tenderà a farsi da parte? Escluso dal rapporto generativo, l’uomo passa facilmente dal sentirsi umiliato, al desiderio di vendetta (sulla moglie o sul “figlio” non suo); dall’abbattimento psicologico all’affermazione della sua irresponsabilità nei confronti del non-figlio.

 

Possiamo davvero pensare che un figlio che non nasce dall’unione della coppia, ma da un “adulterio” in provetta, non destabilizzi i rapporti di coppia? L’equiparazione che qualcuno tenta di fare tra eterologa e adozione è falsa: nell’adozione si salva un bambino che c’è già; si danno dei genitori a un bambino che non li ha più; entrambi i genitori adottivi partono e rimangono su un piano di parità (sono entrambi esclusi dalla generazione biologica). A ciò si aggiunga che, nonostante queste evidenti differenze, l’adozione, che pure è un bellissimo gesto di generosità, è questione da maneggiare con delicatezza, senza lasciarsi guidare dal solo romanticismo: l’accesso a essa (a differenza dell’accesso all’eterologa) prevede un controllo multiplo (psicologico, socio-economico e giuridico), e nonostante questo talora sfocia in un fallimento, eventualità più frequente quando il figlio è stato “voluto” con gradi di convinzione diversi.

 

Tornando all’eterologa, la sua problematicità per il rapporto di coppia è così evidente che l’allora Partito comunista propose, invano, nel 1985, a prima firma Valentina Lanfranchi Cordioli, un disegno di legge in cui l’eterologa era permessa, ma era previsto il ricorso al consultorio familiare per ovviare (e come?) ai turbamenti che possono nascere nell’uomo “in relazione al senso di impotenza, all’angoscia di castrazione, alla vergogna della sterilità”. E questo per i numerosi allarmi lanciati da psicologi, psichiatri, esperti in generale.

 

Una ricerca di Ferraris e Guerrini su una cinquantina di coppie che avevano fatto ricorso all’eterologa in un centro di Roma, prima che la legge 40/2004 rendesse la pratica illegale, rivela che “non è raro il caso di uomini in cui l’inferiorizzazione aumenta all’idea di una gravidanza da eterologa vissuta nei termini psicologici di una infedeltà coniugale: il 40 per cento degli uomini intervistati non desidera essere presente alle applicazioni; analogamente il 37 per cento delle donne non desidera che il marito lo sia”. Come inizio non c’è male!

Si potrebbero aggiungere tanti altri fatti: la presenza invisibile del donatore, nell’immaginario dell’uomo (come rivale) e della donna (come salvatore, ma anche come intruso); la conflittualità, rilevata nello studio sopra citato, all’interno di varie madri, tra il “desiderio del figlio e il rifiuto – conscio o inconscio – dell’inseminazione artificiale” (conflittualità psichica che sfocia persino in alterazioni ormonali, nel verificarsi di cicli anovulatori non presenti in precedenza, in sogni in cui il figlio potenziale tanto desiderato, viene respinto…).

 

Oppure si potrebbero citare almeno altri quattro fatti che dimostrano che il riconoscimento nel figlio dei propri tratti biologici (riconoscimento negato a uno dei due genitori nell’eterologa) non è affatto secondario e ininfluente, come sostengono invece i fautori dell’eterologa stessa.

Il primo: tante coppie ricorrono alla fecondazione artificiale omologa, anziché all’adozione, proprio per avere “un figlio tutto nostro”. Il secondo: sin dal principio le banche del seme, per “rispondere” evidentemente a una domanda esistente, e per provare a tamponare il fenomeno dei disconoscimenti paterni, hanno proposto anche la possibilità di selezionare seme con caratteristiche il più possibile simili a quelle del padre “sociale”. Il terzo: è già accaduto che donne ricorse alla fecondazione artificiale omologa, siano rimaste incinte per errore con il seme di un altro uomo (eterologa involontaria), e siano ricorse all’aborto per eliminare il nascituro (Corriere della Sera 11/12/2009). Il quarto: oggi, nei cosiddetti matrimoni gay, i due maschi che ricorrono a ovulo e utero di due diverse donne (proprio per evitare imbarazzanti rivendicazioni) di norma mescolano il loro seme, affinché non sia chiaro quale dei due uomini sarà il padre biologico, e non si creino quindi contrasti all’interno della coppia (essendo uno dei due uomini “genitore” per la legge, ma di fatto completamente estraneo alla generazione).

 

Proviamo ora a immaginare la situazione in cui sia la donna a essere sterile e si debba ricorrere all’ovulo di un’estranea (è, tra parentesi, la situazione che in Italia riguarderebbe l’ottanta per cento delle richieste di eterologa, stando alle informazioni che arrivano dai centri). Difficile non capire che anche in questo caso si affacciano analoghi problemi: la possibilità che la donna si senta forzata dall’uomo, e non rispettata nella sua infertilità o sterilità; che viva un rapporto ambiguo con la madre biologica e con il figlio-non figlio…

 

A ciò si aggiunga ameno il fatto che la donna che ricorre a ovociti di una “donatrice” estranea “non ha le condizioni per portare avanti una gravidanza, dunque deve sottoporsi a cure ormonali pesanti… con tutti i disagi e i rischi che ciò comporta”, mentre la donna che fornisce l’ovulo, se legata da parentela o da amicizia, interferisce nella famiglia adottiva in modo disastroso: “Malgrado la migliore buona volontà sembra impossibile per la donatrice star lontano dal bambino nato da quel pezzetto di sé che è andato a crescere altrove. Tutte le esperienze in proposito dicono la stessa cosa: la donatrice si fa viva sempre più spesso nella famiglia del bambino, critica, consiglia, toglie autorità alla madre sociale. Un disastro”. (Carlo Flamigni-Vegetti Finzi, in “Volere un figlio”; Carlo Flamigni, in “Avere un bambino”).

 

Per concludere questa breve analisi sugli effetti negativi sul rapporto di coppia indotti dell’eterologa, si può ricordare che una delle coppie che aveva promosso la battaglia per quel tipo di pratica, arrivata alla Corte costituzionale, al momento della sentenza (aprile 2004) non era più tale: i due si erano separati.