Affido: quando si decide la decadenza della patria potestà?

Cara Ai.Bi.,

sono una mamma affidataria quasi disperata. Da quasi un anno io e mio marito abbiamo accolto in affido due ragazzini di 12 e 16 anni. Con loro si è instaurato un ottimo rapporto, ma i loro genitori biologici continuano a essere secondo me eccessivamente invadenti. E l’assistente sociale che segue il caso si sta dimostrando troppo buonista e incapace di prendere provvedimenti. La mamma dei due ragazzi non si fa vedere dai suoi figli da più di 7 mesi, non si è presentata nemmeno per la Cresima del più piccolo, ma continua ad avere la patria potestà su di loro. Ci mette i bastoni tra le ruote anche quando si tratta di decidere di mandare i ragazzi in gita scolastica. Vorrei capire una cosa fondamentale: qual è il procedimento per far decadere la patria potestà? È una decisione che compete al giudice?

Grazie,

Stefania

 

 

giudice2Cara Stefania,

innanzitutto è necessaria una precisazione. Di “patria potestà” non si parla più dal 1975, quando, con la legge 151/1975, i diritti e i doveri della madre vennero parificati a quelli del padre. Al suo posto si iniziò a utilizzare il termine “potestà genitoriale”, a sua volta sostituito da “responsabilità genitoriale” a decorrere dal febbraio 2014, per effetto della legge 219/2012.

A decidere sulla sua decadenza è il Giudice per i minorenni. Egli, a seconda della gravità della condotta assunta dal genitore, stabilisce se imporre la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale.

L’articolo 330 del Codice Civile, quello che regola la decadenza, afferma che questa può essere dichiarata qualora un genitore violi o trascuri i doveri nei confronti dei figli minori, quando non siano rispettati i precetti normativi relativi al diritto dei figli al mantenimento, all’istruzione e all’educazione, quando il genitore si sottragga all’obbligo di assistenza e mantenimento del figlio o ancora in caso di abbandono del minore o di abuso dei relativi poteri da parte del genitore che arreca pregiudizio, morale o materiale, al figlio. Il fondamento dell’art.330 c.c. sta nel diritto del minore a crescere, essere amato, educato, istruito e mantenuto, ricevendo le cure e le attenzioni dai propri genitori.

Ai fini della dichiarazione della decadenza, è necessario che la condotta del genitore abbia cagionato un grave pregiudizio al figlio e che il provvedimento di decadenza corrisponda effettivamente all’interesse del figlio.

Ad avviare il procedimento di decadenza può essere un genitore contro l’altro, i parenti o il Pubblico Ministero. L’udienza dovrà sempre svolgersi in contradditorio e l’istruzione della procedura potrà avvenire ascoltando gli operatori sociali, sanitari e scolastici, oltre a testimoni e informatori indicati da una delle parti  o individuati dallo stesso Giudice, affinché riferiscano del comportamento dei genitori.

Il provvedimento di decadenza arriva quando sia accertata l’incapacità del genitore ad assumere decisioni nell’interesse del minore. Tale misura però non dispensa i genitori dall’obbligo di mantenimento della prole. La dichiarazione di decadenza, infatti, non comporta l’interruzione automatica dei rapporti con il genitore dichiarato decaduto, in quanto l’accertata incapacità di assumere decisioni per suo figlio non esclude l’esistenza di sentimenti di affetto validi e sinceri nei confronti del minore, che possono rappresentare sempre una valida risorse in favore del figlio.

In ogni caso il genitore decaduto dovrà sottostare alle indicazioni del giudice minorile e il suo comportamento sarà soggetto a controllo.

Un caro saluto,

 

Ufficio Diritti di Ai.Bi.